Anzio, città da radici profonde.

Anzio, città dalle radici profonde.
Nell'antichità Antium venne assorbita nello stato romano.
La città ospitò Cicerone quando, tornato dall'esilio, vi riorganizzò i resti delle sue biblioteche, desiderando metterli in un posto sicuro. I romani più eminenti vi costruirono bellissime ville in riva al mare. Gli imperatori della dinastia Giulio-Claudia la visitavano frequentemente e Mecenate vi possedeva una villa.
Ad Antium nacquero gli imperatori Caligola e Nerone.
Quest'ultimo fondò una colonia di veterani in città e costruì un nuovo porto, le cui rovine sono tuttora esistenti.
Nei primi del novecento, Anzio acquistò le connotazioni
di un elegante centro balneare, meta di soggiorno di alcune note famiglie dell'aristocrazia e dell'alta borghesia romane.

lunedì 8 settembre 2008

8 settembre PER NON DIMENTICARE

8 Settembre

Sopra ogni sentimento o risentimento di carattere personale e familiare, domina il dolore lacerante per la ricorrenza della morte della Patria, per la scomparsa di un’Italia onesta, pulita e rispettata nel mondo. Se in noi prevalesse la passione della fazione - come sarebbe logico e naturale per tutto quanto le nostre famiglie hanno dovuto ingiustamente subire e per gli insulti e gli anatemi che da sessant’anni e ancora in questi giorni di liturgia resistenziale ci vengono lanciati - dovremmo gioire nel vedere la nazione dissanguata dai ladri, dissestata dai profittatori, infestata dai portaborse, crocefissa dagli assassini di Stato, derisa ed insultata dallo straniero, quale risultato della Repubblica nata dalla resistenza ( così si sono comportati i nostri avversari durante la guerra ! ). Però noi siamo antropologicamente diversi, e la nostra diversità ci condanna alla sofferenza, a quella sofferenza che noi consapevolmente offriamo quale tributo per la redenzione della Patria nella quale fermamente crediamo. Ma una cosa vogliamo riaffermare con forza: noi non siamo dei rassegnati, non ci sentiamo dei vinti, siamo dei combattenti e soprattutto dei volontari che, anche nei momenti più duri e difficili, non si lasciano sopraffare dall’amarezza e dallo sconforto, ma sanno reagire facendo appello a quelle risorse interiori che distinguono gli uomini dal gregge e che rappresentano il valore intrinseco del volontarismo, dal momento che il volontario di guerra rimane volontario tutta la vita. Noi vogliamo vivere da protagonisti i momenti in cui occorre rompere l’incantesimo di una “legalità” posta ed imposta dai vigliacchi che hanno fatto dell’antitalianità, del pacifismo e del disfattismo la loro bandiera e da una classe dirigente che da sessant’anni rappresenta il ” paese “; un’accozzaglia di personaggi senz’altro abili ed esperti negli affari e negli intrighi, ma logori, scettici e imbelli, la maggior parte facenti capo a quel ceto parlamentare di cui sono al tempo stesso clienti e padroni, vittime e carnefici, immeritevoli del posto di comando per chi voglia riguardare, senza spirito fazioso, la storia tormentata dell’Unità d’Italia, dal Risorgimento e attraverso tutte le guerre combattute ed i sacrifici offerti e sofferti per la grandezza della Patria fino alla Repubblica Sociale Italiana, dove uomini e donne di ogni età, ceto e condizione ( con l’esclusione della razza padrona dei capitalisti ! ) seppero superare l’angoscia del tradimento e andarono a risollevare dal fango il Tricolore perché sentirono prepotentemente l’Italia che era in loro e che non poteva né doveva morire nel disonore. E’ in questa ottica che va valutato il fenomeno del “volontarismo ” che non deve e non può confondersi con l’arruolamento volontario ordinario che é in uso in tutti gli eserciti accanto al servizio obbligatorio.
Dopo l’infausto 8 settembre 1943, nel disfacimento morale e materiale della Nazione, la grande impresa volontaristica coinvolse direttamente oltre cinquecentomila italiani ( molti provenienti anche dall’estero ! ) i quali, superando anche l’eccessivo formalismo della disciplina militare tradizionale comune a tutti gli eserciti, affermarono brillantemente - con il loro comportamento - le ragioni spirituali di una disciplina più intima e più consapevole e fornirono, alla stessa scienza militare, elementi pratici e psicologici di grande importanza. Un patrimonio, questo, che noi sopravvissuti abbiamo il dovere di trasmettere ai giovani ancora sensibili a questi nobili sentimenti, nella speranza che il substrato spirituale volontaristico riesca a superare gli attuali tempi bui e possa rappresentare quell’elemento dinamico di un riscatto nazionale che - prima o poi - si dovrà verificare, nella consapevolezza che ” più buio che a mezzanotte non viene ! ” Si tratta soprattutto di trasmettere un messaggio pedagogico che specifichi in maniera chiara e coerente che il volontarismo della R.S.I. più che rappresentare un momento particolare della recente storia italiana, di quella negata e travisata attraverso la menzogna elevata a sistema, testimonia un atteggiamento dello spirito, in quanto attesta e rivela talune peculiari qualità come la volontà di osare, la prontezza e la tempestività della risoluzione, il valutare il momento e l’efficacia dell’azione, ma soprattutto il subordinare i meschini interessi egoistici ai grandi interessi della Nazione intesa quale comunità di popolo, di lingua, di storia, di tradizione, di fronte ad avvenimenti drammatici e decisivi. E’ sotto questo profilo che il volontarismo rappresenta un aspetto non contingente ma permanente nella vita dei combattenti che, in un momento difficile e drammatico, si ribellarono al tradimento e seppero opporsi all’imbelle adagiarsi sulle posizioni raggiunte, al pavido conservatorismo di coloro che temettero di perdere ciò che avevano accumulato, al vile ritirarsi di coloro che non seppero rischiare pure nel momento in cui era in gioco l’Onore della Nazione e la sopravvivenza stessa della Patria. Anche sul terreno concreto dell’azione politica il ” volontarismo ” ha un suo modo d’essere universalmente riconosciuto nel senso che dà rilievo e carattere ad un certo momento storico e ad una determinata entità statuale che si distingue, come nel caso della Repubblica Sociale Italiana, nella decisa volontà di osare l’impossibile nell’affrontare il destino in maniera risolutiva e, al tempo stesso, forzarlo, nella necessità contingente di uscire dal vago, dall’incerto, dall’abulico, insomma ” prender partito ” come suol dirsi, consapevoli che in caso contrario si viene sempre soggiogati ed asserviti. La storia del volontarismo nella Repubblica Sociale Italiana costituisce pertanto uno degli aspetti più tipici e significativi della partecipazione italiana all’ultimo periodo della 2a Guerra mondiale, una guerra ormai perduta sul piano militare ma che esigeva il sacrificio della parte più genuina del popolo per riscattare l’onta del tradimento che aveva finito per vanificare, sul piano storico, le prove di coraggio e di eroismo che il soldato italiano aveva fornito in cielo, in mare e in terra su tutti i fronti e sotto tutte le latitudini in cui aveva tenacemente combattuto per lunghi anni. Quindi, il fenomeno volontaristico della Repubblica Sociale Italiana si innesta naturalmente nel filone del volontarismo che ha segnato le tappe di quella rinascenza nazionale che ha evidenziato, fin dal Risorgimento e nei vari periodi, le caratteristiche di una stirpe italica capace di dure rinunce e di sacrificio supremo nello spirito di una ascetica dedizione alla Patria tendente a tradurre in realtà le affermazioni ideali. Ma nel fenomeno volontaristico della R.S.I. troviamo un aspetto che rappresenta un ” unicum ” nello stesso mondo elitario del volontarismo italiano, anche se questa consapevolezza é stata acquisita razionalmente solo in un secondo momento da parte degli stessi protagonisti. La guerra era ormai perduta sul piano militare e riprendere le armi aveva come motivazione principale quella di combattere ” PER L’ONORE D’ ITALIA “. Ma questa scelta assumeva, in quel particolare momento, anche il significato di servire l’Italia in mistica purità di spirito sacrificale. I volontari della R.S.I., in comunione con i prigionieri di guerra ” non cooperatori”, divenivano così ” asceti della Patria ” e traducevano in realtà operante l’educazione ricevuta nella Scuola gentiliana, la cui etica e la cui pedagogia si possono riassumere nel binomio “pensiero e azione “, in cui l’azione non é pura prassi meccanica, non é semplice attivismo - sia pure ideale - ma é azione cosciente della volontà umana che tende ad attuarsi in una realtà oggettiva in quanto é in possesso di un compiuto mondo spirituale che urge alle soglie della propria umanità per tradursi in offerta e sacrificio. Lo stato d’animo di questo atteggiamento spirituale, lo ritroviamo emblematicamente nei versi di una delle nostre più significative canzoni strafottenti cantate in Repubblica Sociale:
” VOGLIAM MORIRE TUTTI CROCIFISSI
PER RISCATTARE UN’ORA DI VILTÀ,
SE CI RESTASSE DI VITA UN SOL MINUTO
NOI LO VIVREMMO PER L’ETERNITÀ. ”
Con queste intenzioni noi, in questo giorno, preghiamo sulle tombe dei nostri Martiri.

Stelvio Dal Piaz - Fiamma Bianca - Vicepresidente Nazionale Raggruppamento Nazionale Combattenti e Reduci R.S.I. - CONTINUITA’ IDEAL

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