Anzio, città da radici profonde.

Anzio, città dalle radici profonde.
Nell'antichità Antium venne assorbita nello stato romano.
La città ospitò Cicerone quando, tornato dall'esilio, vi riorganizzò i resti delle sue biblioteche, desiderando metterli in un posto sicuro. I romani più eminenti vi costruirono bellissime ville in riva al mare. Gli imperatori della dinastia Giulio-Claudia la visitavano frequentemente e Mecenate vi possedeva una villa.
Ad Antium nacquero gli imperatori Caligola e Nerone.
Quest'ultimo fondò una colonia di veterani in città e costruì un nuovo porto, le cui rovine sono tuttora esistenti.
Nei primi del novecento, Anzio acquistò le connotazioni
di un elegante centro balneare, meta di soggiorno di alcune note famiglie dell'aristocrazia e dell'alta borghesia romane.

martedì 20 maggio 2008

La Repubblica del Paglia


E' raro trovare, in Italia, qualcuno capace di rifiutare sicuri privilegi per difendere le proprie idee senza scendere a compromessi. Questo è sicuramente il caso di Giancarlo Pagliarini, detto affettuosamente "Il Paglia". Leghista della prima ora, entra in Senato nel 1992. Diventa Ministro del Bilancio nel primo governo Berlusconi (1994) per poi continuare a lavorare in parlamento fino al 2006, quando lascia Roma per fare il consigliere comunale nella sua Milano.
Lascia la Lega nel 2007 e, a sorpresa per chi conosce le idee in cui crede, si candida alle ultime elezioni con “La Destra” di Storace. Eppure non ha cambiato idee, il Paglia. Ha portato i leader della Destra verso il federalismo e la "questione fiscale", come ci spiegherà in questa esauriente ed interessantissima intervista che ha concesso ad UT. Esibendo tutta la sua disponibilità e lontananza dal concetto della "politica della Casta".
Buona lettura. Anzi, buona lezione!


Caro Pagliarini facciamo un breve punto della situazione: Berlusconi ha vinto le elezioni, la Lega ha fatto il pieno di voti e il prossimo governo avrà tutti i numeri necessari per governare. Cosa dobbiamo aspettarci sui tre fronti a noi più cari, ovvero tasse, federalismo e sicurezza? Ci sarà una vera svolta?


Secondo me la svolta ci sarà solamente se la gente capirà che è necessario cambiare la vecchia costituzione del 1948. Sono realmente convinto che il nostro Paese uscirà dalle difficoltà che lo attanagliano, soltanto se farà un salto di qualità, adottando una nuova Costituzione federale.
Questa riforma è necessaria e urgente perché la verità è che siamo in emergenza. Nel 1992 per poter pagare gli stipendi dei suoi dipendenti e per poter trasferire all’INPS e agli altri enti previdenziali le risorse necessarie per pagare le pensioni, lo Stato ha dovuto prelevare soldi dai conti correnti dei cittadini. Dal 1992 ad oggi non è stata fatta nessuna seria riforma, salvo qualcosa sulle pensioni, e non per senso di responsabilità ma sotto la spinta dell’emergenza e col solito cinico egoismo. Nella circostanza i costi, come sempre, sono stati posti a carico dei giovani e delle generazioni future.
Adesso la situazione è, se possibile, ancora peggiore del 1992. L’indice di povertà delle famiglie italiane continua a peggiorare e siamo sempre meno competitivi.
Eppure le caratteristiche fisiche, intellettuali e culturali delle persone che risiedono nei confini della nostra Repubblica non sono significativamente diverse da quelle dei nostri concittadini europei. Il punto è che il paese è organizzato male e la cultura politica dominante è quella della “irresponsabilità istituzionalizzata”.
I danni generati dal governo Prodi sono sotto gli occhi di tutti. Cambiare Governo ed una parte significativa dei membri del Parlamento era necessario ed urgente. Tuttavia solo questo, ormai, non è più sufficiente: per salvare la Repubblica italiana dal declino è altrettanto necessaria ed urgente una profonda riorganizzazione del paese. La Costituzione del 1948 deve essere aggiornata perché sono cambiati lo scenario e le esigenze. La “Repubblica italiana” deve diventare la “Repubblica Federale italiana.”
Questo non significa “Nord contro Sud”, ma più responsabilità, più efficienza, più concretezza, modernità e competitività del sistema-paese. E più “accountability”, vale a dire più trasparenza anche contabile e cultura della “resa di conto”. Meno chiacchieroni, ideologie, “caste” di politici, burocrati e azzeccagarbugli. E soprattutto meno intermediazione dello Stato e meno liti tra gli “addetti ai lavori” della politica. Il guaio è che per troppi politici è più importante gestire il potere che servire i cittadini.
I principi più significativi che dovranno caratterizzare il nuovo contratto federale sono quelli esposti qui di seguito.

Primo. Ridurre il peso della “intermediazione” statale. Le Regioni e gli enti locali non dovranno aspettare in ginocchio di ricevere trasferimenti ed elemosine dallo Stato. Perché i soldi delle tasse non saranno dello Stato, come dichiarano gli statalisti, sia quelli di sinistra che quelli di destra quando affermano che “le tasse non sono a dimensione regionale ma nazionale”. Dovrà essere vero il contrario. Lo Stato dovrà operare anche come “fornitore di servizi ai cittadini”. I soldi delle tasse saranno del territorio che ne trasferirà una parte allo Stato per comperare i suoi servizi: esercito, presidenza della Repubblica, Parlamento eccetera. I cittadini, a differenza di oggi, saranno più rispettati e diventeranno più consapevoli. Quando pagheranno per “i servizi che ricevono dallo Stato” si chiederanno immediatamente se questi servizi ci sono e se valgono i soldi che stanno pagando. Così capiranno meglio, perché lo toccheranno con mano, se effettivamente stanno “comperando” servizi dallo Stato oppure se con quei soldi stanno invece mantenendo le “caste” dei politici, dei burocrati, di quelli che non vogliono le liberalizzazioni e dei tanti altri mantenuti dalla collettività.

Secondo. Come tutti i fornitori anche lo Stato, salvo pochissime attività, non potrà agire in regime di monopolio. Infatti senza concorrenza i suoi servizi (pensiamo per esempio all’istruzione o al sistema pensionistico) non potranno che continuare ad essere non sempre di buona qualità e insostenibilmente costosi. Con la riforma che propongo alcuni poteri, responsabilità e risorse finanziarie non saranno più, come oggi, di uno dei componenti della Repubblica (lo Stato), ma saranno di altri componenti (le Regioni e i Comuni). La somma algebrica fa zero, si resterà sempre all’interno della Repubblica e la sua unità non verrà toccata. Questo lo dico perchè quelli che “non vogliono cambiare niente” si nascondono dietro la foglia di fico dell’articolo 5, quello della “Repubblica una e indivisibile”. Bene, l’articolo 5 viene rispettato, ma l’organizzazione della Repubblica viene modificata e resa più responsabile e più efficiente, attenuando l’irresponsabile monopolio dello Stato.
Alla “casta” dei detentori del potere questa proposta non va bene. Perché da sempre essi utilizzano lo Stato per gestire il loro potere. Questa proposta modifica la mappa del potere: lo toglie alle “caste” dei politici e dei burocrati e lo trasferisce più vicino ai cittadini.

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