"Abbasso la rivoluzione, viva la democrazia, viva la Cina".
Le bandiere rosse sventolavano di fianco alle tende in piazza Tien ‘An ‘Men, non solo a simbolo di nazionalità ed appartenenza, ma anche a secolare vessillo di buona speranza.
Quelle bandiere rosse scivolavano nei tenui soffi di vento fin dalla fine di aprile del 1989; poi per tutto maggio; dopo ventun’anni un nuovo maggio; le stesse ragioni, la stessa rabbia, le stesse convinzioni.
Tien ‘An ‘Men centro del mondo. E al centro del centro del mondo un mucchio di materiale di fortuna era andato magicamente ad assumere le forme di una prosperosa ed afrodisiaca statua della libertà (qualcuno si lamentò della troppa abbondanza dei suoi seni). Ma come; una statua della libertà in Cina?
Proprio così; una statua della libertà in Cina; le mani sapienti degli studenti stanchi ed euforici l’avevano innalzata per dare un corpo alle loro parole: "Abbasso la rivoluzione, viva la democrazia, viva
Intanto nelle stanze segrete della Repubblica Popolare si doveva prendere una decisione: “gli studenti non stanno facendo niente di male a parte infangare il nostro operato accusando i nostri funzionari di corruzione e noi stessi di essere ottusi davanti al progresso democratico; però cantano e urlano soltanto; non usano altri mezzi”.
Che fare? Come reagire? Come rispondere se il solito comunista poco ortodosso si piazza in faccia al governo e sostiene chi ne contrasta lo strapotere? Durante il 1987 c’era stato Hu Yaobang, l'ex segretario del partito licenziato per aver appoggiato le rivolte studentesche di quell’anno; ora Zhao Zyiang, che aveva avuto l’ardire di affermare che "Gli studenti sono patrioti. Vogliono solo denunciare i nostri errori". Traditori; tutti e due!
E mentre gli studenti, appoggiati pure dagli operai (era proprio un nuovo maggio!), continuavano a dare una forma più pacifica possibile al loro dissentire, il 20 maggio, entrava in vigore la pena capitale. Forse ai vertici della Repubblica Popolare finalmente si era presa la decisione; forse si doveva regolarizzare e legalizzare la repressione che di lì a pochi giorni, se quelle voci non avessero spontaneamente taciuto, si sarebbe presa con convinzione la sua bella pagina di storia.
Eppure nel frattempo, a Varsavia, la decennale lotta operaia di Solidarnosc aveva condotto alle prime elezioni libere e democratiche dopo anni di oppressione, i regimi comunisti stavano barcollando anche in Cecoslovacchia e in Bulgaria, e di lì a poco più di cinque mesi sarebbe crollato un muro. In Cina invece democrazia era solo una parola con un certo carico di rischio e il mezzo per ristabilire le cose era tutt’altro. Ordine e disciplina…ordine e disciplina!
E nella notte tra il 3 e il 4 giugno (le
Decine di migliaia di voci messe per sempre a tacere.
Poi lo sdegno di tutto l’Occidente e poco dopo il presidente americano George Bush che faceva sapere al mondo che la sua prima preoccupazione era comunque la preservazione dei rapporti fra gli Usa e
E quei gesti simbolici di quei gironi? Che fine aveva fatto quella statua della libertà? E il ragazzo dei carri armati? Un fotografo americano che alloggiava in un albergo che dava sulla piazza si era anche lamentato di quel ragazzino con in mano le buste della spesa che si era messo davanti ai carri armati e gli stava rovinando l’inquadratura.
Poi, quell’immagine sarebbe diventata l’ultimo baluardo della rivolta e il simbolo stesso dell’incapacità di un regime di far fronte alla non violenza di un popolo
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