Anzio, città da radici profonde.
Anzio, città dalle radici profonde.
Nell'antichità Antium venne assorbita nello stato romano.La città ospitò Cicerone quando, tornato dall'esilio, vi riorganizzò i resti delle sue biblioteche, desiderando metterli in un posto sicuro. I romani più eminenti vi costruirono bellissime ville in riva al mare. Gli imperatori della dinastia Giulio-Claudia la visitavano frequentemente e Mecenate vi possedeva una villa.
Ad Antium nacquero gli imperatori Caligola e Nerone.
Quest'ultimo fondò una colonia di veterani in città e costruì un nuovo porto, le cui rovine sono tuttora esistenti.
Nei primi del novecento, Anzio acquistò le connotazioni
di un elegante centro balneare, meta di soggiorno di alcune note famiglie dell'aristocrazia e dell'alta borghesia romane.
venerdì 29 agosto 2008
LA MOZIONE DI FRANCESCO STORACE
Vivere di idee per non morire di potere
La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli. Aristotele
Gli ideali sono come le stelle: non possiamo raggiungerli, ma tracciamo la rotta in base ad essi.
Nel nostro blog ho letto un messaggio molto bello in cui si afferma che per un ideale si è pronti a morire, ma per il potere si è disposti ad uccidere. Siamo nati proprio per dimostrare che non c’e’ solo il potere nell’orizzonte della politica, ma idee attorno alle quali cercare consenso per governare. Purtroppo, sembra che ci sia una sola regola per gli uomini politici di tutto il mondo: quando sei al potere non devi dire le stesse cose che affermi quando sei all'opposizione.
E’ una forma di relativismo applicata alla peggiore politica e che rifiutiamo con determinazione; crediamo che ci siano valori assoluti e non negoziabili e per questo reputiamo deprimente guardare con occhi luccicanti ad altri teoremi politici, a obiettivi unilaterali che mirano a cancellare ogni traccia di forma organizzata della destra in Italia.
Il primo congresso nazionale de La Destra ci emoziona, continua a rendere protagonista un’intera comunita’ di una politica che, se rifiuta di rappresentare il solo valore della testimonianza, pretende di dettare percorsi alternativi ai cosiddetti tempi nuovi. E attorno ad essi cerca consensi perche’ non si rassegna al pensiero debole di questi anni inaciditi dal pensiero unico e globale.
Dal congresso dobbiamo scrivere una nuova pagina per il futuro della nostra Patria. La Destra deve coltivare l’ambizione entusiasta di essere capace di mutare i riti della politica, puntando anzitutto ad affascinare decine di milioni di italiani e italiane che non vogliono piu’ scambiare diritti con clientele, persone con pubblico, valori con mercanzie, simboli con marchi.
A novembre saranno trascorsi sedici mesi dalla fondazione del Movimento e un anno dall’assemblea costituente, nove mesi dalla scelta orgogliosa di Trieste e sette dalle elezioni politiche che videro un movimento senza mezzi e struttura arrivare ad un soffio dal risultato deludente dei quattro partiti della sinistra radicale con il loro triste carico di storia e di responsabilita’. Ad aprile siamo definitivamente nati, ora dobbiamo crescere e vivere come abbiamo voluto. Con la stessa passione con la quale un pugno di uomini, in tempi ben piu’ difficili, dettero vita alla stagione ultraquarantennale del Movimento sociale italiano. Tempi nuovi, ma radici che non gelano mai.
Quella trascorsa è stata davvero una stagione intensa, emozionante, appassionante, con una campagna elettorale durissima che ci ha visti raggiungere una percentuale di voti assolutamente lusinghiera. Non conta non avercela fatta ad entrare in Parlamento – non è quello il fine della vita, almeno per chi ha deciso di ricostituire La Destra italiana – ma conta aver dimostrato che uno spazio politico c’è e si può ampliare. E’ possibile se allarghiamo l’orizzonte, se anziche’ guardare solo al vicino di casa cominciamo a cercare quelli che la casa non ce l’hanno piu’. E i prossimi tempi, settimane, mesi, non anni, ce ne daranno conferma ineludibile. A partire dallo stesso processo fondativo del popolo della liberta’. Che segue lo stesso percorso voluto da chi ha creato il partito democratico. Altra cosa da noi, dalla nostra storia, dalla nostra identita’.Identita’ che sta anzitutto nel capire fino in fondo che cosa rappresenta per noi quel senso di appartenenza comunitaria – e non le prebende, e non gli incarichi – che ci può rimettere al centro dell’attenzione di una Nazione che non vede più esempi nella politica.
Se tutti gli uomini fossero giusti, non ci sarebbe bisogno di valori
La Destra nasce e rinasce anzitutto per rispondere all’assenza di senso di giustizia che pervade le famiglie italiane, le persone, la comunita’ nazionale. Qui sta la volonta’ che maturammo alla fondazione del movimento. Poco piu’ di una trentina di pionieri lanciarono il sasso. Che non chiamammo a chiedersi se quella scelta fosse utile, ma solo se fosse giusta.
Chi non se la senti’ o aveva sbagliato nell’individuare ne La Destra un taxi per le proprie ambizioni personali, ci lascio’ poco dopo. Ma fummo consapevoli e orgogliosi che era nato il partito nuovo, il partito contro la “casta”, quella casta che divora le istituzioni e non e’ purtroppo solo il titolo di una fortunata operazione editoriale e politica.
Lo stesso percorso politico che culmino’ con le elezioni politiche dimostrera’ che non intendevamo farci contagiare da quelle logiche: per le nostre idee abbiamo messo a repentaglio le carriere politiche di molti di noi e chi e’ rimasto ne La Destra non se ne e’ pentito.
Oggi il popolo italiano, molto piu’ che a luglio e novembre 2007, molto piu’ che a febbraio e aprile 2008, sa che la casta non alberga nel nostro movimento, comunita’ di uomini liberi che ha scelto di non contaminarsi con logiche di mero potere. Si’, per il potere si puo’ uccidere: noi non abbiamo voluto cancellare tutto quello in cui abbiamo creduto e ci ostiniamo a voler ancora rappresentare. Giustizia per gli italiani, innanzitutto, attraverso scelte non piu’ compromissorie. Futuro per i giovani, chiamandoli alla rivolta morale contro l’eutanasia della Patria.
Crediamo di essere nel giusto se affermiamo che di mediazioni all’estremo si muore: la sinistra radicale non e’ stata cancellata dal proprio elettorato per i suoi “no”, ma per i troppi “si’” a scelte incomprensibili.
Era il tempo, quando nasceva La Destra, in cui governava Romano Prodi. Sembra trascorsa un’era geologica.
Ce n’era bisogno di quell’intuizione. Venivano a noi persone che avevano militato in altri partiti e persone che non avevano militato affatto in politica. E tanti delusi da Alleanza nazionale, che abdicava alla rappresentanza dei valori della destra italiana e che la triste evoluzione in corso vede sparire nel nome dell’indistinta rincorsa al potere. Belli quegli anni….
Si distruggeva tutto, la cultura, l’orgoglio di avercela fatta, le avversioni di un tempo. No, non potevamo accettare che la nostra vita finisse nella galassia indeterminata del Partito popolare europeo.
Nascemmo, dunque, e ora viviamo, anche se – dicono alcuni – la campagna elettorale di aprile ci e’ arrivata forse troppo presto addosso. Puo’ darsi, ma forse un’idea e’ giusta solo se trionfa nelle urne? O non e’ forse vero che la vittoria di Berlusconi e’ dipesa esclusivamente dal disastro del governo Prodi? Niente recriminazioni, giunti a questo punto, c’e’ un punto di non ritorno rappresentato da quello che si e’ e non da quello che si ha. Non si e’ in Parlamento, saremo presenti nella societa’ e nel territorio.
La Destra di luglio 2007 e’ destinata ad entrare nella storia dell’Italia se sara’ capace di credere con determinazione, sapendo che nel proprio passato ci sono solo memorabile lotte senza regali da alcuno. E’ il nostro formidabile biglietto da visita, e’ la spinta versa il domani. Dal congresso in avanti nessuno potra’ piu’ fermarsi a guardare indietro: e’ avanti la nostra strada e chi teme la sfida non ostacoli chi non desidera altro che impegnarsi.
IERI COME OGGI, OGGI COME DOMANI
Il potere tecnocratico vuole uccidere l’uomo, profanando il mondo, rendendo artificiale l’esistenza, arrestando il corso della storia, sopprimendo ogni forma di cultura, cancellando ogni senso di appartenenza, ogni etnia, ogni nazionalità. Utilizzando gli strumenti offerti dalle tecnologie avanzate, questa nuova forma di totalitarismo planetario pretende di omologare uomini e popoli in unica ed avvilente tipologia: quella del consumatore, dell’ utente il cui scopo sia generare profitto… Guardando con attenzione quello che doveva essere il nostro mondo vi ritrovammo una “Destra” senza identità e senza anima .
“Le idee camminano sulle gambe degli uomini ”. Infatti anche il migliore programma politico, se è affidato a delle persone corrotte o immorali non vedrà mai la sua attuazione. Una parte di quel nostro mondo per essere accettato nei “salotti buoni” della politica si era lasciato irretire dal postmoderno, dall’ateismo, pentendosi magari delle battaglie a favore della famiglia , contro l’aborto, le manipolazioni genetiche, la pornografia, la droga, nella illusione tutta elettorale di prendere qualche voto in più.I massmedia, facendosi strumento di lobby occulte, quotidianamente attaccano la nostra società minando la moralità soprattutto nei più giovani; facendo figurare coloro che vivono la loro vita seguendo i principi Naturali, paradossalmente come dei diversi.La società dell’Utile va contro la società dell’Etica.Ogni scelta di comodo ed egoista è giustificata come una conquista di civiltà. Come l’aborto, l’eutanasia, la clonazione umana e la creazione di organi di ricambio, la liberalizzazione delle droghe, un figlio a tutti i costi.Certo mondo di destra si è arreso a questa Democrazia Totalitaria che ha avuto il coraggio di prevaricare il più debole rifugiandosi in una legislazione “Medicalista” a scapito di una legislazione della “Vita”.Se non c’è vita cosa si cura?Questa Democrazia, facendo vincere gli egoismi, ha anteposto la salute alla vita.Quante volte si è preferito uccidere un “feto” anche in avanzato stato di concepimento solo perché qualche medico solerte gli aveva diagnosticato una vita che lo avrebbe visto collocato ai margini di questa società opulenta, basata sull’efficienza e l’utilitarismo? La lotta politica non si può circoscrivere alla riduzione di qualche punto delle tasse (e del resto un minore introito di tasse va a ridurre lo stato sociale che è l’ impegno di solidarietà verso i più bisognosi) o riproporre dei “condoni” per salvaguardare la villetta al mare del raccomandato di turno, tutto a discapito delle nostre bellezze naturali.
E DUNQUE….
La Tecnica in funzione della Vita e non contro di essa;
la Libertà innanzitutto come concreto esercizio di Diritti della persona, delle comunità, dei popoli;
le scelte individuali con le politiche per la famiglia come cellula fondamentale del più vasto corpo sociale; la politica per il popolo, con il popolo e non per il potere;
scongiurare il rischio concreto di una perdita dei valori profondi della nostra civiltà – che è romana e cristiana, e affonda le sue radici nel Diritto naturale – in nome di quel relativismo laicista, ultimo ariete del degrado nichilista;
uno Stato nuovo, come patto tra le generazioni presenti;
uno Stato capace di arginare il potere anonimo e senza volto delle grandi centrali finanziarie e multinazionali, dei poteri sovranazionali privi di legittimazione politica e democratica;
uno Stato capace di affermare che la politica non può ridursi esclusivamente al rango di curatrice fallimentare dell’amministrazione;
uno Stato che promuova la cultura della legalità e fornisca ai cittadini una giustizia finalmente rapida ed efficiente;
riportare la persona, il lavoratore, al centro dei processi economici e produttivi, consapevoli che il prodotto è comunque e sempre frutto del lavoro umano e non può avere mai la medesima dignità dell’uomo che lo ha lavorato e prodotto, e che per questo vanno incentivati tutti i modelli che tendono a forme di partecipazione del lavoratore al capitale dell’ impresa;
fuggire l’idea che la Vita possa ridursi al mercato, nuova forma di idolatria che caratterizza gli adepti di quell’ideologia mercatista che si va diffondendo e che rappresenta la sintesi aberrante dei peggiori presupposti del meccanicismo marxista con il substrato di fondo di certo liberismo materialista;
promuovere fermamente il mondo femminile non solo tramite la legittima affermazione dei diritti delle donne ma soprattutto attraverso un rinnovato apprezzamento di quei valori autenticamente femminili per i quali la donna è intesa quale patrimonio costitutivo e fondante della società nel suo ruolo civile, culturale, istituzionale e di motore propulsivo della famiglia;
vivere l'identità e l’appartenenza nazionale come missione, superando lo sconfittismo e l’idea del declino;
pensare, di fronte ai fenomeni migratori la costruzione di un modello anti-xenofobo che, lungi dall’essere multiculturalista, rifugga la falsa idea di facili integrazioni estranee alla cultura dei doveri;
costruire l'agire politico nell'era post-ideologica senza gettare nell'oblio le grandi narrazioni della storia, del pensiero e della civiltà di questo Occidente cristiano che – parafrasando l’allora Cardinale Ratzinger – deve tornare ad amare se stesso.
Da qui, in estrema sintesi, comincio’ e ricomincio’ il cammino programmatico e identitario della nuova Destra italiana, alla costituente di novembre.
Scrivendo a chiare lettere che chi si dice di destra deve esserlo per davvero, senza se e senza ma, senza sbavature, senza tentennamenti, senza derive laico-centriste, residuo di un “pensiero debole” che ormai da anni alberga tra chi cerca di scardinare gli autentici e vitali punti di riferimento dell’agire, del pensare e del vivere di un mondo intero. Il tutto per preparare elettori e militanti ad una confluenza di voti verso un “partito popolare”, considerato più spendibile. In fondo è una tentazione che parte da lontano e che sempre è albergata in qualcuno da Fiuggi in poi.
Lo dicemmo a gran voce a novembre 2007, lo ribadiamo ora: riteniamo del tutto inaccettabile qualsivoglia proposta che preveda lo snaturamento delle forze politiche della destra italiana verso improbabili svolte neo-paleo-centriste. Sono frutto di logiche vecchie, usurate, fuori tempo.
Il Movimento politico La Destra vuole essere movimento per davvero, scrivemmo in quelle due straordinarie e indimenticabili giornate romane.
Non solo un nuovo partito ma un “partito nuovo” in tutti i sensi, partendo dall’ intuizione di Beppe Niccolai che individuava nella questione morale il nodo irrisolto di una lotta che ha alterato la libertà del mercato.
Sulla base della adesione a questi principi chiamammo a raccolta il popolo della Destra per una discussione sui temi concreti della sicurezza, del lavoro e dell’economia, dell’impresa e delle professioni, dell’ agricoltura e dell’artigianato, del sindacato, del terzo settore, della sanità e del welfare, della famiglia, dell’istruzione, dell’Università e della ricerca scientifica, della lotta alla droga, delle politiche sociali e culturali, dell’immigrazione e delle riforme, del governo del territorio, dell’ambiente, dell’autonomia energetica e dei grandi temi della politica nazionale ed europea, a partire dal federalismo e dal Mezzogiorno, al fine di redigere compiutamente – insieme – il programma politico della Destra italiana.
Questo è ciò che ri-proponiamo a chi crede fortemente nella Patria, a chi ritiene che valga ancora la pena spendersi per preservare e difendere l’orgoglio e la dignità del nostro popolo e affermare l’esistenza, l’importanza e la specificità della Civiltà italiana, a fianco delle altre civiltà e culture, nel quadro più vasto della Civiltà europea e della cultura dell’occidente; a chi crede che non debbano esistere pagine cancellate della storia e della memoria del nostro popolo, consapevoli che ogni periodo vada studiato, approfondito, meditato e criticato, ma che è invece un grave errore separare la Storia dalla Politica e optare per forme di giudizio trancianti, finalizzate a scopi immediati e personali di inutili legittimazioni; a chi ritiene del tutto inutile continuare a lacerarsi sul passato, vivere insensate nostalgie di ieri e dell’altro ieri, ma da persona del proprio tempo, convinta profondamente che la democrazia sia un sistema irrinunciabile per affermare e tutelare diritti e libertà, vuole concorrere a ridonare i valori fondamentali della Destra politica e culturale all’Italia e al nostro popolo.
FINALMENTE…..
L’orgoglio di migliaia di militanti che ritrovavano la gioia di abbracciarsi, gioire e piangere assieme: lo spirito comunitario lo abbiamo toccato con mano proprio nelle giornate di novembre 2007, al palacongressi di Roma, in quella Costituente salutata dai manifesti che recavano la scritta “Finalmente, La Destra”. In quel finalmente il ritrovarsi di un popolo che decideva di ricominciare. Ecco, quello spirito entusiasta deve tornare fra noi, e poco conta se strada facendo abbiamo dovuto fare i conti con il tradimento di chi non ci credeva.
Del resto, succede ai piu’ di assaporare il prezzo dell’inganno da parte di chi reputa indifferenti le culture politiche. Su un muro di Roma sta scritto che “Il mondo va ora a destra ora a sinistra, ma ci va fra mille infrazioni, e il popolo paga le multe”
Essere di destra, dunque, come stile di vita, passione politica, rifiuto della rassegnazione a mutare per vincere. Nel nostro Pantheon, restano indimenticabili - nel ricordo che ci ha affidato Tomaso Staiti - le parole di Adriamo Romualdi, uno dei più acuti ed intelligenti uomini di cultura (e di azione) della Destra italiana, scomparso giovanissimo nel 1973 e figlio di Pino:
“Essere di Destra significa, in primo luogo, riconoscere il carattere sovvertitore dei movimenti scaturiti dalla rivoluzione francese, siano essi il liberismo o la democrazia o il socialismo.
Essere di Destra significa, in secondo luogo, vedere la natura decadente dei miti razionalistici, progressisti, materialistici che preparano l’avvento della società plebea, il regno della quantità, la tirannia delle masse anonime e mostruose.
Essere di Destra significa, in terzo luogo, concepire lo Stato come una comunità organica dove i valori politici predominano sulle strutture economiche e dove il detto”a ciascuno il suo” non significa uguaglianza ma equa disuguaglianza qualitativa.
Infine essere di Destra, significa accettare come propria quella spiritualità aristocratica, religiosa e guerriera che ha improntato di sé la civiltà europea e - in nome di questa spiritualità e dei suoi valori - accettare la lotta contro la decadenza dell’Europa”.
La forza non deriva dalle capacità fisiche, ma da una volontà indomita. Gandhi
Quello spirito comunitario lo ritrovammo a Trieste, a febbraio, e poi in una campagna elettorale condotta con pochissimi mezzi e immensa volontà.
Crollato miseramente tra le macerie del fallimento storico della sinistra italiana il governo unionista, Silvio Berlusconi, con un colpo di teatro, incominciò a volteggiare in compagnia di chi fino a qualche giorno prima lo insultava e demonizzava, per preparare il terreno alla americanizzazione (In Inghilterra, il sistema è gentile e la gente è ostile. In America, la gente è amichevole, e il sistema è brutale) della politica: attraverso la riduzione dello scenario politico-parlamentare a due soli principali partiti e qualche satellite in una strana gara in cui ci sono pochi partiti e molti arrivati a cui concedere rappresentanza per interesse elettorale – tagliando fuori tutti coloro che non intendevano adeguarsi al nuovo linguaggio politicamente corretto –.
I due principali neonati attori dello scenario politico-istituzionale, PD e PdL, hanno trovato il terreno comune su cui far convergere i rispettivi disegni egemonici. La Destra – fedele all’idea per cui è nata – non ha inteso in alcun modo aderire, nemmeno tecnicamente, alle liste presentate dal PdL. Di fronte ai veti aennini e al netto rifiuto berlusconiano di averci come forza alleata e non subordinata, al pari della Lega Nord e del MpA di Raffaele Lombardo, per non dire dei giochini con la Dc di Pizza, con la dignità che ci è dovuta, abbiamo inteso correre da soli, insieme alla Fiamma Tricolore, rivendicando non soltanto storia e identità precise, ma soprattutto il diritto di esprimere posizioni politiche fortemente differenziate rispetto al pensiero unico imperante che ha ormai in tutto contagiato i partiti dominanti del centrodestra come del centrosinistra. Che senso avrebbe avuto essere usciti da un’esperienza politica per poi cedere al ricatto di chi ammainava le proprie bandiere imponendo a tutti o quasi di fare la stessa scelta? Tutto questo per un gruzzolo di seggi parlamentari? Non avrebbe avuto alcun senso, se non quello di appagare singoli individui. Non siamo nati per questo.
Le elezioni politiche ci hanno premiato con quasi un milione di voti e solo quel vulnus democratico che è la legge elettorale ci ha impedito un’adeguata rappresentanza parlamentare.
Il prezzo pagato è stato alto? Senza dubbio. Ma ci consoli il pensiero di Eraclito: “Dura è la lotta contro il desiderio, che ciò che vuole lo compra a prezzo dell'anima”.
Lo e’ stato più per quella gran parte di popolo italiano che si trova oggi a non avere i propri rappresentanti in Parlamento che per noi che abbiamo troppo in considerazione termini come Libertà, Indipendenza, Identità per poterli svendere in cambio di qualche comoda poltrona e che siamo consapevoli che, se le istituzioni sono un luogo fondamentale della politica, esse non sono l’unico luogo in cui si possa sviluppare l’agire politico.
In 40 giorni di scontro elettorale senza mezzi e con poca organizzazione abbiamo raccolto le speranze di novecentomila italiane e italiani. La vergogna del voto utile, le suppliche televisive di Silvio Berlusconi a mani giunte (“non votate la destra”, diceva, anziche’ dire di non votare la sinistra…) non ci hanno piegato ma ci hanno dato la certezza che si puo’ aprire uno spazio politico enorme.
Otto parlamentari uscenti avanti a noi, mentre la sinistra radicale ne schierava 150, oltre a membri dei governi della Nazione, delle regioni e degli enti locali, attestandosi ad appena duecentomila voti in piu’. Per loro si intona il de profundis, noi sentiamo le note dell’inno alla vita.
Io continuo a professarmi uomo di destra: ma la mia destra non ha niente a che fare con quella "patacca" di destra che ci governa. Indro Montanelli
Non siamo al governo dell’Italia perche’ non hanno voluto la presenza de La Destra come forza organizzata e autonoma all’interno della coalizione. Non ci hanno voluti non per un’antipatia personale o collettiva, ma perche’ differenti e le parole di Montanelli risuonano presenti nel giudicare l’azione dell’esecutivo. Alleanza nazionale e’ al governo, ma c’e’ chi se ne accorge?
Dobbiamo ragionare sul governo dell’Italia e della destra, della politica di destra che manca al nostro Paese, governato da una coalizione capace di passare dalla ragione al torto ogni cinque minuti e che trova conforto nei sondaggi solo perché c’è un’opposizione parlamentare assolutamente inadeguata al ruolo che dovrebbe ricoprire. A meno che non si voglia credere che Veltroni e compagnia stiano ancora ad aspettare che si realizzi un vecchio adagio: “Dai corda al tuo nemico, forse s’impicca da solo”. Cosi’ come appare assolutamente irrilevante il ruolo dell’Udc. Si’, e’ in Parlamento, ma a fare cosa? La realta’ e’ che c’e’ una societa’ non rappresentata, quattordici milioni di italiani che non hanno voluto votare e altri tre che hanno votato per chi non ha raggiunto il quorum: un mare di popolo al quale dobbiamo guardare in primis per respingere il messaggio della rassegnazione, della riduzione a uno.
Il nostro cammino è intrapreso. Indietro non si torna. Non per presunzione che spesso si traduce nell’incapacità di comprendere gli eventi e anticipare il futuro; né per risentimento né astio, sentimenti che per loro stessa natura non appartengono alla politica.
Indietro non si può tornare perché le fondamenta stesse della nostra casa risiedono proprio nella volontà di poter esprimere liberamente un progetto nuovo, che sfugga alle categorie logore del passato ma nemmeno si inquadri nella riduzione a quelle – sterili – del presente.
Certo che avremmo fatto lavorato – e positivamente! - se ce ne fosse stata data la possibilità. L’esecutivo guidato da Romano Prodi è stata – sino ad oggi - la peggior iattura che il popolo italiano abbia dovuto subire dal ’92, ma ciò non toglie che molte sono le cose che ancora non vanno, e che nemmeno questo esecutivo è in grado di affrontare in quanto – salvo qualche eccezione – totalmente privo di una visione complessiva del futuro.
Abbiamo mandato a casa volentieri il governo di centrosinistra, abbiamo fatto la nostra parte rifiutando anche le offerte di chi ci avrebbe gratificato con una nuova legge elettorale che ci avrebbe concesso di rientrare, tranquillamente, da soli, in Parlamento.
Ma nemmeno questo era il motivo per cui eravamo nati qualche mese prima.
TERZA REPUBBLICA
È opinione comune, in larga parte degli osservatori delle cose della politica, che le elezioni nazionali abbiano condotto a fine quella lunga fase di transizione iniziata con la caduta della prima Repubblica. C’è chi parla di terza Repubblica e chi di reale inizio della seconda; c’è chi ritiene che il sistema politico non sia ancora stabile, per effetto di una ancora approssimativa riforma delle istituzioni.
Un fatto è certo: un partito deve misurarsi con il sistema politico e istituzionale della Nazione nella quale opera. Altrimenti è, per sua stessa scelta, lontano dalla possibilità di partecipare al gioco democratico.
A nostro avviso è fuori luogo il trionfalismo con cui in tanti si affaticano a sostenere che si è concluso il percorso iniziato con il referendum del ’93 e le elezioni del ’94. E ciò, poiché ogni compiuta democrazia riforma il proprio sistema istituzionale e politico intervenendo sulla costituzione. Nel caso italiano, invece, il Parlamento non è mai stato in grado di riformare compiutamente la forma di governo e, ancora oggi, alcune significative innovazioni (a partire dalla indiretta indicazione del capo del governo da parte del corpo elettorale) sono affidate alla costituzione materiale e non a quella formale.
A ciò si aggiunga che, di recente, si è assistito a una sostanziale regressione della centralità del corpo elettorale. Accanto alla costituzione del polo liberal-conservatore e di quello progressista, la stagione del post-prima Repubblica fu caratterizzata anche da una serie di riforme sugli Enti locali. La elezione diretta dei sindaci, dei presidenti di provincia e dei presidenti di regione doveva essere naturalmente conclusa e completata con il superamento della forma di governo parlamentare. Vari tentativi furono esplorati, compreso quello più importante nella commissione bicamerale guidata da Massimo D’Alema che, in effetti, approvò un testo con la scelta del sistema semi-presidenziale. Scelta, poi, accantonata nella riforma approvata nel 2006 dalla coalizione guidata da Silvio Berlusconi, poiché - da destra - nessuno impose la forma di governo presidenziale (quella voluto da Giorgio Almirante) come contrappeso istituzionale al federalismo.
Forse in controtendenza con molti osservatori, noi riteniamo assolutamente non conclusa la lunga fase di transizione iniziata con quella caduta del sistema, preconizzata proprio dall’indimenticato leader missino già alla fine degli anni ’80.
Tuttavia, non possiamo fare a meno di considerare che le elezioni nazionali hanno segnato profondamente il contesto politico italiano. La nascita del Partito Democratico e la conseguente costituzione del Popolo della Libertà hanno raccolto esigenze di semplificazione della politica, verso le quali ha dimostrato di essere assai sensibile il corpo elettorale. La lotta contro la casta, eterodiretta dai poteri forti (che hanno interesse a una politica debole), ha ulteriormente e paradossalmente rafforzato l’idea che l’Italia dovesse lasciarsi alle spalle un sistema fatto di oltre venti partiti rappresentati in Parlamento, con un inevitabile impatto negativo sulla governabilità del Paese.
Oggi, per la prima volta, le principali culture politiche del novecento, la destra e la sinistra, sono fuori dal Parlamento e i partiti che ad esse si ispirano devono fare i conti con la pervicace volontà varare leggi elettorali ulteriormente restringenti e con alte soglie di sbarramento.
Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che il bipartitismo è ancora lontano. Anzi, proprio le elezioni nazionali secondo alcuni ne hanno segnato la fine, dopo il risultato della Lega, dell’Italia dei Valori e comunque della stessa Udc.
Ed allora, la domanda cui occorre dare risposta, è se esista ancora uno spazio politico a Destra e come questo spazio politico possa essere eventualmente essere occupato.
Non si è perduto niente quando ci resta l'onore. Voltaire
“Alleati sì, doppio gioco no, servi mai!”. Questo vecchio slogan, mutuato dal nostro passato, rende bene l’idea di ciò che avremmo voluto al momento stesso della nostra nascita.
Esprime tutto quel senso dell’onore e della dignità che sono categorie fondamentali del pensiero di destra.
Ha lasciato scritto Seneca: “La lealtà comprata col denaro, dal denaro può essere distrutta” , e per noi il senso di lealta’ mai va confuso con la fedeltà.
La fedeltà è qualcosa di tanto profondo che non si può attribuire alle umane cose, è a senso unico, dal basso verso l’alto: si è fedeli ad un’idea, a un Dio; si può esserlo a un rapporto familiare, intimo, perché in questo rapporto si trascende se stessi in qualcosa di più elevato.
In politica – primo errore - si deve essere leali non fedeli. E la lealtà, per mantenersi viva, necessita di essere contraccambiata nei fatti non a parole. È un rapporto tra pari che necessita il rispetto delle regole e della dignità, mentre la fedeltà in politica si traduce tutt’al più nell’atteggiamento scodinzolante di un simpatico cagnolino che cerca di compiacere il proprio paternalistico padrone.
Poi – secondo errore – se la Destra è nata, è proprio perché c’è chi per anni ha lavorato per svuotarla di senso e natura. Per liquefarla in un indistinto contenitore fatto di ideologie ottocentesche per quanto di moda, senza voler mai tentare di giocare la carta di ridare senso e attualità ad intuizioni, sogni, progetti e speranze che storicamente – fino a Fiuggi – avevano caratterizzato la destra politica italiana, pur spesso imbrigliata da inutili nostalgie e folklorismi estetici, da “miti incapacitanti” che avevano il torto di rendere immobili grandi idee bloccandole in una sorta di “autismo ideologico”.
Questo va capito, metabolizzato: è il senso stesso della nostra nascita.
Si e’ fedeli se si vota tutto e di peggio. Si e’ leali se si contestano errori clamorosi che portano a tradire i patti con gli elettori. Sara’ pure molto hard riempire paginate di giornali sulle impronte digitali ai bambini rom, ma noi avremmo preferito a questa caricatura di politiche di destra una decisa azione tesa a riconoscere la specificita’ del comparto delle forze armate e di sicurezza. Si e’ scelta la prima strada, si e’ ignorata la seconda. Si capisce perche’ era meglio tenerci fuori dalla coalizione….
Sono importanti gli annunci, ma ancora di piu’ i fatti.
Certo, i soldati sono sulle strade, ma se le vetture di poliziotti e carabinieri non hanno benzina, a che servono? Se si dividono i lavoratori tra pubblici e privati al punto che ai primi viene negata la detassazione degli straordinari – norma antisociale di per se’, soprattutto per quel che riguarda la donna costretta a scegliere se essere lavoratrice o madre… - come faremo a vedere piu’ forze di polizia lungo le strade?
Del resto, le politiche di governo non si giudicano giorno per giorno, altrimenti non avremmo dato vita ad un partito, sarebbe bastato impegnarsi in un piu’ remunerativo istituto di sondaggi.
Luci e ombre, dicono alcuni; il che e’ probabilmente vero, ma in quale programma elettorale era scritto che sarebbe stato possibile a ministri della Repubblica italiana sottrarsi alle celebrazioni del 2 giugno? In quale volantino abbiamo letto che il presidente della Camera, per ansia di legittimazione, avrebbe dovuto persino arrivare a vergognarsi in aula di Giorgio Almirante?
Dopo una campagna elettorale passata a promettere di ridurre le tasse, ci hanno fatto sapere che non si abbassano piu’ e dopo aver tagliato il residuo di imposta Ici che era rimasta, e’ gia’ riposta nel cassetto la promessa di togliere di mezzo bollo auto e canoni vari, mentre risulta non pervenuto il mitico bonus bebe’. Gli anziani piu’ poveri avranno 400 euro all’anno, uno al giorno…. E nei cantieri senza controlli si continua a morire di lavoro.
L’UOMO PRIMA DEL LAVORO
La Destra italiana va a congresso nel pieno di una stagione in cui si ricomincia a percepire il peso del conflitto sociale, se anche un sindacato come l’Ugl scende in piazza. Quanti avevano salutato la fine del governo Prodi non riescono a cogliere il cambiamento in economia, il lavoro viene ancora individuato come costo, il lavoratore non esce dalla dimensione di sudditanza ai processi macroeconomici. Ogni inno alla centralita’ della persona e’ sacrificato agli altari di una globalizzazione piu’ subita che governata. Al sindacato cui guardiamo con maggiore attenzione chiediamo di non deluderci. Al sindacalismo non schierato offriamo disponibilita’ a collaborare nel segno dell’autonomia, puntando a lanciare comuni piattaforme finalizzate al rispetto dei diritti di chi lavora.
Del resto, che cosa significa nella collocazione dei deputati nell’attuale Parlamento, la distinzione in partiti di “centro destra”, di “centro sinistra”, quando tutti hanno in comune il denominatore “liberismo”? “Destre” e “sinistre” parlamentari, cioè, anche ideologicamente, partono dallo stesso presupposto, considerano la società dallo stesso angolo visuale: quello liberal-liberista. In entrambe le soluzioni il lavoratore è sempre un salariato, e non può che inchinarsi al volere del capitalista individuo o del capitalista stato.
I moderati, i prudenti, gli arrivisti e i pentiti qualche tempo fa hanno voluto ripudiare e rinnegare tutto, fino ad arrivare a dichiararsi liberali in politica e liberisti in economia. Oggi con il crollo dei regimi marxisti questa fuorviante contrapposizione non esiste più, nella forma e nella sostanza. Tutto si è semplificato.
È tramontato un drammatico equivoco che è andato avanti per anni ed anni e che ha ingannato e tradito milioni di lavoratori. Liberismo individuale e di stato hanno sempre colluso.
GLOBALIZZAZIONE, MODELLO DI SVILUPPO, MERCATISMO
Non possiamo sottacere il fatto che la “globalizzazione”, ossia l’omologazione di tutti i popoli all’attuale modello di sviluppo economico, ci trovi molto perplessi. A cominciare dal modo in cui essa va sviluppandosi. Sospinta dall’ideologia mondialista (alla faccia della fine delle ideologie) essa – al contrario di quanto sostengano i suoi più convinti assertori - sta arrecando danni in tutto il pianeta.
In primo luogo in Europa, dove si è diffusa l’idea di uno sviluppo continuo dovuto al progresso tecnologico e all’espansione dei mercati. A parte qualche rara eccezione anche le voci critiche spesso non riescono ad andare oltre l’idea di “sviluppo sostenibile” delle società europee: come se i modelli economici dipendessero esclusivamente dalla volontà dell’establishment di Bruxelles, dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazione e dal WTO, dimenticando che queste stesse élites (ma oligarchie rende meglio l’idea) considerano il processo globale come “irreversibile”, tutt’al più da guidare, e comunque salvifico una volta che si sarà realizzato.
Nella realtà la globalizzazione ha innescato una competizione sfrenata tra gli Stati all’interno del mondo occidentale, tra questi stessi Stati e le imprese interne, e tra gli Stati occidentali e quelli del Terzo Mondo, chiamato oggi eufemisticamente “Paesi in via di sviluppo”. L’idea che sottende tutto questo è che quello occidentale di oggi sia “il miglior mondo possibile” come sosteneva Francis Fukuyama un ventennio orsono alla caduta del muro di Berlino e che dunque, per una sorta di messianismo economico-politico, l’Occidente (gli USA sosteneva lo scrittore nippo-americano) abbia il dovere di rendere planetario il proprio modello di sviluppo con qualsiasi mezzo. E purtroppo, aggiungiamo noi, a qualsiasi costo…
Credere in uno sviluppo infinito oggi significa essere ancora figli di quella cultura illuminista che vedeva per l’uomo “mirabili sorti, magnifiche e progressive”, con l’aggiunta di un faustismo tecnologico che sembra aver pervaso del tutto le menti, facendo scordare che proprio a questo dobbiamo nel ‘900 due guerre mondiali, 40 anni di guerra fredda, e un numero impressionante di conflitti sparsi per il pianeta, devastanti per la loro ferocia oltre che per il numero di vittime, e che ancora scoppiano oggi come focolai improvvisi cortocircuitando tutto il mondo.
Crediamo sia il caso di porre seri freni a questo naufragio verso cui si è avviata la nostra società. Per quanto più critici di altri, non siamo i soli ad affermarlo: nemmeno in ambito politico. Prendiamo ad esempio l’ultimo libro di Giulio Tremonti, fondamentale Ministro in carica del Governo Berlusconi, ma voce spesso isolata e non sempre ascoltata nell’ambito dello stesso: “In Europa, per la massa della popolazione – non per i pochi che stanno al vertice, ma per i tanti che stanno alla base della piramide – il paradiso terrestre, l’incremento di benessere portato dalla globalizzazione è comunque durato poco, soltanto un pugno di anni. Quello che doveva essere un paradiso salariale, sociale, ambientale si sta infatti trasformando nel suo opposto. Va a stare ancora peggio chi stava già peggio. Sta meglio solo chi stava già meglio. E non è solo questione di soldi. Perché la garantita sicurezza nel benessere che sarebbe stato portato dalla globalizzazione si sta trasformando in insicurezza personale, sociale, generale, ambientale.”
E come tutte le ideologie figlie dell’illuminismo quella mondialista della globalizzazione economica, ha una sua dottrina e una fede: il mercatismo, la “fanatica forzatura nel mondo del liberismo economico”.
Lo stesso liberismo italiano, incapace di svolgere normalmente il suo ruolo imprenditoriale, mendicante delle cospicue elemosine di Stato, che crea una classe parassitaria, tenta speculazioni errate, il cui costo viene ribaltato sulle spalle dei lavoratori italiani, con la complicità di organizzazioni sindacali che hanno rinunciato al loro ruolo, ma che in compenso gestiscono i fondi pensione.
Ed allora qui occorre riprendere coscienza delle nostre origini, fare proprio il disagio crescente nella società civile. Occorre tornare a dare dignità al lavoro. In termini paritari rispetto al capitale. In un momento in cui dilaga il “lavoro interinale”, cioè l’uomo dato in affitto come fosse un utensile, un mezzo di produzione e non un soggetto attivo della stessa produzione con le sue capacità di inventiva, di immaginazione, di professionalità. Il modello mercatista valuta l’uomo, il lavoratore come un semplice costo. Da abbattere. E quando il lavoro interinale non è sufficiente si può sempre ricorrere alla “delocalizzazione”. Quest’ultimo, termine neutro, per nascondere lo smantellamento di unità produttive ed il loro trasferimento sempre più ad est. Dove il “costo del lavoro” è sempre più basso.
Parlando del lavoro, dell’organizzazione industriale, della composizione del salario, della sicurezza sui luoghi di lavoro, sull’impatto sociale ricadente sul territorio, tutto questo stato di cose cosa comporti è sotto gli occhi di tutti noi con un liberismo finanziario che tende soltanto al massimo profitto e che trova acquiescenza nel potere politico.
GIUSTIZIA SOCIALE, ASPIRAZIONE DI POPOLO
Lo Stato ed una buona politica devono tendere a realizzare il maggior grado possibile di giustizia sociale per avere il massimo possibile di pace sociale. E questo non per adeguarsi ad un astratto principio di uguaglianza che non esiste in natura e nemmeno tra gli uomini, ma per perseguire fini alti e nobili che sono quelli dell’elevazione morale e culturale di tutto un popolo. I lavoratori devono partecipare alla vita delle imprese (pubbliche e private) con l’ingresso dei loro rappresentanti nei consigli di amministrazione e negli organi di controllo.
E’ un cammino da riprendere, quello della battaglia sociale per il nostro popolo. Quando addirittura i servizi – come le ferrovie, come le poste, come gli ospedali - dismettono la loro funzione sociale in nome di modelli economicistici, vuol dire che non c’e’ piu’ spazio per i valori dell’uomo e per i suoi diritti. E uno Stato ha il dovere di essere giusto anzitutto verso chi ha meno.
Anche la finanza e il capitalismo devono trovare dei confini invalicabili e devono essere richiamati alla loro funzione sociale. Oggi siamo al capitalismo e alla finanza senza patria né regole, i cui padroni sono i moderni usurai. Quindi, in tempo di riforme, invitiamo la politica – prima ancora che baloccarsi su formule astratte come il Senato delle regioni – a individuare come necessità forme nuove di rappresentanza della realtà sociale italiana (lavoro, cultura, impresa autentica , arte, scienza, professioni e mestieri), nelle sedi istituzionali repubblicane.
E’ giustizia sociale quella che toglie ai giovani ogni speranza nel futuro con la precarizzazione della loro esistenza? Qui non si tratta di contestare l’impalcatura della legge Biagi, ma di apportare adessa alcune modifiche al fine di impedire una degenerazione della stessalegge.
orientata a garantire flessibilita’ al mercato del lavoro, bensi’ di impedirne le degenerazioni. Che stanno innanzitutto in una forma di impedimento all’aspirazione ad una contrattualizzazione permanente del lavoratore, attraverso la pratica dei rinnovi delle assunzioni a tempo determinate. Spesso si abusa del termine meritocrazia, ma per il lavoratore precario il tempo del merito non arriva mai….
Seconda degenerazione sta in quelle imprese che assumono piu’ lavoratori a tempo determinato che indeterminato ed e’ un evidente abuso. Terza conseguenza negativa sta nei livelli retributivi, assolutamente inadeguati.
Qui La Destra ha il dovere morale di intervenire, a tutela del diritto a futuro per generazioni di uomini e donne che denunciano assenza di prospettive di vita.
Cominciando da proposte di redistribuzione della ricchezza, decidendo finalmente di far assaporare e per davvero a banche e assicurazioni l’odore nauseabondo di una tassazione riservato solo ai comuni mortali di questa nostra sventurata Patria. Finora si e’ solo scherzato, regalando al credito una rateizzazione dei mutui a tasso variabile che abbatte sulle famiglie debito su debito.
Mentre non si ha traccia di interventi su salari, stipendi, pensioni….
Le prese di posizione del Ministro del Welfare Maurizio Sacconi non ci sorprendono.
Ora pare arrivato il momento della deregolamentazione. “Vogliamo deregolare tutto ciò che attiene alla flessibilità dell’orario di lavoro, come il contratto di part-time che è stato irrigidito”. L’obiettivo è quello di “liberare il lavoro” rimuovendo i vincoli che “complicano e inibiscono i rapporti di lavoro”. Ebbene, suonano ironiche e beffarde queste frasi nel paese con la più elevata percentuale di precari in Europa, in cui le garanzie per i giovani assunti a tempo sono flebili come non mai, se pure riescono a trovarlo infine un lavoro decente, speranza vana.Accanto al cancro del precariato il lavoratore conosce la gravità del problema della sicurezza sul lavoro. Anche su questo tema arrivano le soluzioni definitive del prode Ministro: La scrittura di un Testo unico sulla sicurezza che “non può essere sostenuto da odiosi incrementi degli adempimenti formali e da sanzioni spropositate”. Sanzioni spropositate? Con quale coraggio si osa parlare di “sanzioni spropositate” davanti ad una carneficina di circa 1500 martiri del lavoro ogni anno, mentre le pene inflitte non sono minimamente commisurate all’immensa tragedia della perdita di un familiare?
Si parla di riforme, senza spiegare come miglioreranno la vita dei cittadini. La Destra dovra’ varare una propria azione politica che ponga al centro della riflessione della pubblica opinione - come vedremo piu’ avanti - i pericoli di un federalismo fiscale tutt’altro che solidale e che rischia di acuire le distanze fra Nord e Sud del Paese. Non vogliamo rimettere in discussione quanto si e’ costruito in questi anni, ma non ci sara’ giustizia sociale se non si porra’ fine alle degenerazioni che abbiamo conosciuto. Non una sola regione e’ rimasta immune dal cancro della corruzione in sanita’ e se a Napoli lo Stato e’ riuscito laddove non ce l’ha fatta la regione, il problema e’ legato a meccanismi istituzionali che hanno finito per negare la responsabilita’ delle istituzioni piu’ elevate. Dalla Repubblica presidenziale al caos federale non e’ il cambio d’orizzonte piu’ brillante che ci si potesse aspettare.
COMPAGNI DI STRADA
Guardare avanti senza mai voltarsi indietro se non per cogliere il senso delle radici che chiamiamo identità; costruire una nuova e diversa modernità politica senza rifiutare la nostra storia, senza demonizzare un passato che non è nella nostra disponibilità perché appartiene a chi l’ha vissuto e costruito col sacrificio, il sudore, le lacrime, e spesso il sangue.
Navigare dunque, unendo il gusto della scoperta alla capacità di mantenere saldamente il timone: è lo scopo che ci siamo prefissi che ci ha fatto scegliere la rotta.
Possiamo unirci ad altri in questo compito? Senza dubbio. A condizione che ci siano il rispetto e lo spazio: non per noi, ma per il patrimonio di idee e di valori che rappresentiamo.
A patto che siano accettate e condivise le battaglie che vogliamo condurre; che non venga mai messa in discussione l’esistenza e l’agibilità politica de La Destra, ossia di quella comunità umana e politica che – come scrivemmo alla nostra nascita – continua ad essere “espressione vitale e necessaria di una comunità umana, politica e ideale che i conti col passato li ha fatti tutti e per questo si è lacerata - che nasce per affrontare con rinnovato spirito le sfide dell'oggi e del domani, scegliendo non a caso come proprio emblema una fiaccola, protesa verso l’alto da un braccio giovane, a simboleggiare la continuità di una storia che non si spegne e al contempo l’irrinunciabile aspirazione alla Libertà come dimensione fondamentale dell’agire umano e politico, della persona singolarmente intesa e del nostro popolo rappresentato dai tre colori della bandiera nazionale: quel popolo di cui siamo espressione, primo e principale interlocutore a cui ci rivolgiamo e al quale solo sentiamo intimamente di dover rispondere.”
Non è questa una chiusura verso nessuno.
Al contrario è la nostra volontà di aprirci al dialogo con tutti coloro che vorranno insieme a noi condurre delle battaglie politiche; a chi con noi vorrà dialogare e confrontarsi in termini agonistici.
Consapevoli che sia più ovvio (o così almeno sembra…) trovare interlocutori nell’attuale centrodestra, sappiamo altrettanto che singole importanti battaglie che coinvolgono l’intero assetto democratico e costituzionale di una nazione possono spingere forze tra loro distanti e lontane a incontrarsi in nome del bene comune; così come sappiamo che la difficoltosa ricerca di confronto sui grandi temi della politica può diventare un inedito scenario di incontro tra coloro che hanno a cuore una visione sociale e comunitaria dello Stato, un rispetto profondo della giustizia e della libertà di espressione ed informazione, un’attenzione privilegiata ai bisogni delle fasce più deboli della popolazione, un interesse spiccato a mantenere vivo e vitale il patrimonio di piccola e media imprenditoria che ci caratterizza come nazione.
Fin qui si è detto di noi. Ma in un sistema bipolare e negli anni della lotta alla pluralità dell’offerta politica, occorre immaginare un percorso assieme ad altri. Le alleanze – si è sostenuto molte volte nelle nostre assemblee – possono essere o un valore o un male necessario. Nell’uno e nell’altro caso, occorre esaminare una strategia di compatibilità con altri soggetti politici operanti nel nostro Paese.
L’interlocutore naturale del nostro Movimento politico – come abbiamo detto - sono i soggetti politici che operano nell’area del centrodestra, cui apparteniamo per codice genetico e cultura politica. Tuttavia, va chiarito che non siamo certamente stati noi a escludere la possibilità di un accordo con il Pdl e i suoi alleati. La politica dei veti, oggi come nel 2006 con il movimento Alleanza Siciliana, ha portato alla nostra esclusione dall’alleanza guidata dal presidente Silvio Berlusconi. Potremmo fare prevalere le ragioni del risentimento e ritenere chiusa ogni ipotesi di intesa politica. Ma, commetteremmo un grave errore.
Noi abbiamo detto a chiare lettere come non riteniamo che il nostro sistema politico vada verso l’affermazione di un bi-partitismo di tipo anglosassone. Ma per far parte di una coalizione non possono esserci decisioni unilaterali.
Come uscire da questa difficile situazione senza perdere la propria dignità di soggetto politico? A ogni soluzione è, in primo luogo, preordinata l’assunzione di responsabilità da parte della classe dirigente e dei militanti a riprendere quanto prima l’iniziativa politica sul territorio: se non siamo in grado di determinare consenso, non troveremo nessun compagno di strada perché sarà possibile vincere senza di noi. Occorre, pertanto, superare la fase di stallo iniziata dopo le elezioni nazionali e ripartire con maggiore decisione. Sapendo che essere di Destra non vuol dire rimanere ghettizzati o ancorati ad un passato ormai lontano. Essere di Destra vuol dire arrivare a governare. Ma essere di Destra vuol dire anche non dover governare a tutti i costi, svendendo se stessi, anima compresa. Essere di Destra vuol dire saper anche rinunciare a poltrone ed incarichi, a maggioranze e prebende. Essere di Destra vuol dire avere una dignità da difendere. Essere di Destra vuol dire non tradire quel milione di italiani che ci hanno votato perché eravamo fuori dagli schemi, eravamo diversi da chi propugna un pensiero debole ed unico.
Detto questo, se intendiamo il nostro impegno nel centrodestra, com’è naturale, abbiamo il dovere di aprire un dialogo con tutte le forze che operano nel centrodestra, a partire da quelle identitarie e legate al territorio, per poi dialogare con il Pdl, principale soggetto politico dello schieramento di centrodestra.
Esiste, e non dobbiamo nascondercelo, un ostacolo grande da superare: la legge elettorale per le elezioni europee. Se avessimo di fronte a noi le sole elezioni amministrative e regionali della stagione 2009-2010, avremmo margini di tempo significativi per saggiare la bontà del nostro progetto. Ma, dobbiamo misurarci con una campagna elettorale per le europee e non possiamo permetterci di non conquistare rappresentanza parlamentare. E ciò, non per dare spazio a nostri dirigenti, ma per dare un preciso segnale al Paese di presenza nelle Istituzioni e di dialogo aperto con chi dice di essere alternativo anzitutto nei valori, alla sinistra.
In questo senso, nulla dovrà essere lasciato al caso. Starà alla saggezza del vertice politico del nostro Movimento individuare gli interlocutori con i quali iniziare, quanto prima, un serrato confronto e con i quali costruire ipotesi di lavoro comune, sapendo che abbiamo il dovere di pretendere un atteggiamento unitario in tutto il Paese da parte di nostri interlocutori, pur lasciandoci la possibilita’ reciproca di derogare in presenza di candidature di dubbia affidabilita’ morale e decidendo in proposito tra sede nazionale e locale.
Questo è il senso del nostro voler navigare: la storia politica ci ha insegnato che scenari che in un certo momento storico sembrano cristallizzati, all’improvviso – e a condizione che vi siano persone e forze politiche che sappiano preparare il terreno – possono trasformarsi radicalmente, e i vecchi attori venir destinati alla pensione.
Coloro che ci hanno votato lo hanno fatto contro tutto e tutti, a volte a dispetto di una presunta ragione: il loro voto va ricambiato con il mantenimento della nostra indipendenza.
La Destra che è stata propinata agli italiani negli ultimi quindici anni è quella a cui fa riferimento con splendide parole sempre Adriano Romualdi:
“La Destra non sarebbe una ideologia, un partito e neppure un’ideologia politica: essa è semplicemente la maggioranza dei cittadini che desiderano che i treni arrivino in orario, che le balie allattino i bambini, che i becchini seppelliscano i morti senza scioperi, contestazioni e altre cause di perturbazione dell’ordine pubblico. La Destra è la società che funziona, il governo dei “competenti”, oltre tutte le ideologie, lo Stato veramente ordinato dove gli studenti non marinano la scuola e i cani non fanno pipì nelle aiuole…”.
Aggiungiamo un cenno ai rifiuti di Napoli e tutto diventa di una sorprendente attualità!
Un po’ poco? Si chiedeva retoricamente Adriano Romualdi: poco, anzi pochissimo.
“La Destra è slancio vitale, volontà di potenza, spiritualismo laico, estetica della politica, saldezza morale, lealtà, onore, fedeltà alla parola data, coerenza con i propri ideali, amore verso il proprio popolo, capacità di sacrificio”.
Esattamente il contrario, insomma, di quanto ci consegna questa stagione politica.
Come diceva Beppe Nicolai: “Questa Italia non ci piace e forse neppure ci appartiene, ma è pur sempre la nostra madre e la dobbiamo amare comunque, anche se è diventata una prostituta”.
Amarla, per noi, significa tentare di costruire una politica fatta di dignità ed impegno e non di posti, assessorati o sottosegretariati. Ma davvero si puo’ pensare che nel nostro futuro ci sia da dover sgomitare tra Lamberto Dini e Alessandra Mussolini?
Auguri, auguri sinceri al Popolo delle Liberta’, ma non ci chiedano piu’ di accomodarci nella loro reggia. Con noi si discute, con noi ci si confronta, con noi ci si puo’ alleare, noi non ci facciamo annettere.
Rispose Giorgio Almirante ad Indro Montanelli, in un’intervista pubblicata da Il Giornale Nuovo il 28 maggio 1980, sull’ipotesi di una confluenza del Msi in altre formazioni politiche: “Che strana domanda dottor Montanelli! Ma come può saltarle in mente, visto che Lei è un uomo che crede nella libertà, che il segretario di un partito possa «dissolvere» il suo partito: e possa addirittura, dopo averlo dissolto, farne confluire i voti in altre direzioni! Centinaia di migliaia di iscritti, e almeno due milioni di elettori (ma in questo momento siamo di più) dovrebbero obbedire al dittatore Almirante; per accettare da un momento all’altro di «dissolversi» e poi di «confluire»; dissolversi, cioè scomparire come fatto politico, come fatto di coscienza, come fatto morale, come fatto di impegno fisico e spirituale; confluire, cioè abbracciare un’altra fede, un’altra dottrina, un altro e molto diverso credo politico rinnegando d’un colpo se stessi”
OLTRECONFINE, QUEL BEL MONDO ANTICO…
Il mito della Patria europea ha accompagnato la storia, anche meno recente, della Destra italiana. «L’Europa o va a destra o non è Europa», scandiva nelle piazze Giorgio Almirante, mentre i ragazzi del Fronte della Gioventù mai facevano mancare a ogni corteo lo slogan, cantato a squarciagola, «Europa – Nazione – Rivoluzione».
Ma l’Europa di oggi non è quella che noi vorremmo…
Speravamo in una Europa politica, luogo d’incontro di popoli e culture, legata alle sue radici cristiane ed ellenistico-romane, espressione profonda di un modo diverso di essere occidente rispetto all’imperialismo americano.
Oggi il processo di integrazione tra i diversi stati dell’Unione è bloccato da logiche economiche ed è affidato alle burocrazie, non ai popoli. Tuttavia, la introduzione della moneta unica e la maggiore mobilità dei giovani hanno certamente contribuito a costruire un embrionale senso d’appartenenza a una Patria più grande.
In questa dimensione, la sfida delle singole nazioni non può che essere quella di costruire un identità comune che tenga conto delle diverse tradizioni, delle diverse lingue, dei diversi costumi, ma che esalti ciò che unisce tutti i popoli europei, in quanto espressione di un unico percorso storico e culturale. Ecco perché siamo e saremo contrari all’ingresso nell’Ue della Turchia. L’Europa prima che un anonimo soggetto economico ha il dovere di essere la naturale espressione di un continente che, geograficamente e culturalmente, ha confini definiti.
Accanto a questa, la sfida più difficile che i popoli europei devono affrontare è rappresentata dalla cosiddetta multiculturalità. Per scongiurare il rischio di chiusure a riccio o di inaccettabili atteggiamenti razzisti o xenofobi, servono, politiche per la natalità, regole per la difesa delle nostre tradizioni, atti politici chiari nei confronti di quanti mettono in discussione il nostro culto o la nostra identità.
Se l’Europa non diventerà presto un soggetto politico e non saprà difendere sé stessa dalla crisi d’identità che vive, il rischio concreto è la crescente marginalità nella politica estera fino alla graduale e completa cessione di ruolo verso le nuove potenze mondiali.
La Destra italiana dovra’ interpretare un ruolo originale nel contesto europeo; l’occasione ce la forniranno le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento.
Sovranità, dignità e indipendenza dell’Italia proiettate nell’idea forza - la forza del mito - di un’Europa unita, forte economicamente e militarmente, conscia del proprio ruolo e che torni ad essere protagonista sulla scena mondiale, e non piu’ pigramente accondiscendente verso gli Stati Uniti.
Avremmo voluto vedere protagonista l’Italia nella costruzione dell’Unione euromediterranea, abbiamo invece subito l’iniziativa di Sarkozy… Ci si preoccupa di evitare presenze scomode e identitarie al Parlamento europeo con una nuova legge-canaglia e ci si dimentica di cultura, storia, tradizione. E’ l’Italia della semplificazione ad usum delphini, degna partner di un’Europa senza rispetto per le proprie radici….
E’ tempo invece di riflettere su quanto l’americanismo ci abbia inquinato culturalmente, quanta parte delle nostre più autentiche tradizioni sia rimasta in piedi, ci sono stati imposti modelli sballati e una visione economicistica della vita; l’unilateralismo si palesa con l’arroganza di un impero che tuttavia non possiede una superiore visione del mondo e della vita che non comprende la ricchezza feconda delle differenze; ed ora ci scarica addosso il prezzo di una gigantesca crisi economica, dovuta alla “sua” finanza virtuale, al “suo” liberismo sfrenato, alla “sua” globalizzazione, figlia di un progetto politico, il mondialismo, che richiede un pensiero unico e che non solo non assicura libertà e progresso al pianeta, ma lo sta portando alla povertà, alla fame e al declino.
Ecco, un’Europa artefice del proprio destino, consapevole della propria missione, fiera dei propri valori e’ quella che continuiamo a sognare in un’Occidente in cui ci posizioniamo non per servilismo, ma per scelta di civilta’. Ma non e’ l’occidente americanista quello che abbiamo sognato per i nostri figli, non e’ appunto l’Europa che apre al “mercato” turco quella cui aspiriamo.
Vogliamo un democrazia di popolo a livello continentale, pretendiamo rispetto delle sovranita’ e non burocratismi irresponsabili.
Garantiremo indipendenza e protagonismo sulla scena internazionale, ci batteremo per un’Europa capace di parlare al mondo con una sola voce, figlia della democrazia e della volonta’ dei suoi popoli.
Il sogno di un'Europa unita e forte col passare degli anni si sta per trasformare in un incubo che vede i governanti del vecchio continente contrapposti ai popoli nazionali sempre più perplessi sul futuro dell'Unione europea. Quanto accaduto in Irlanda con la consultazione referendaria non puo’ essere sottovalutato, i popoli chiamati a decidere ormai hanno fatto capire con chiarezza la loro opinione. Ora che non c’e’ piu’ la paura del comunismo alle porte, si apre la crisi della Vecchia Europa. Il suo allargamento, che ha trascurato ogni impronta di carattere storico, culturale, religioso e politico, privilegiando invece solo economia, finanza e burocrazia, ha coinciso con un traguardo e con un limite: quello dell’assenza di una qualsivoglia capacita’ progettuale.
E’ l’Europa del Partito popolare, e’ quella del Partito socialista, quella che e’ fallita, in una visione mercantile priva di respiro politico, incapace di democrazia diretta, di politica estera e di difesa comune. E’ l’Europa che si ferma ora a Lisbona e dimentica di ritrovarsi a valori unificanti sul piano culturale e religiosa, e’ l’Europa che si ferma un miglio prima dell’approdo alla costruzione di una grande potenza militare e politica, e’ l’Europa a cui manca una missione.
La Destra non dovra’ avere timore di dirlo, come non mancheremo di dire che mai più nel futuro del nostro continente vogliamo assistere allo spettacolo di chi con graziose elargizioni punta a minarne l’agognata unità territoriale e politica. Anche di allargamenti dell’Alleanza Atlantica e di nuovi scudi NATO bisognerà discutere, e non poco, perché anche Mosca e San Pietroburgo sono Europa.
In campo economico, è nostra forte convinzione che la partita globale in atto vada ben oltre le dimensioni e le caratteristiche della libera concorrenza tra imprese. Dietro alla prepotente aggressività cinese in campo economico vi è l’azione diretta di uno dei peggiori leviatani della storia, l’apparato statale del capitalismo-comunista che ha trovato terreno fertile nella stupidità dei dogmi liberisti in voga in Occidente per mettere in campo le più spregiudicate forme di conquista economica che a memoria d’uomo possano essere ricordate. Ed è stato solo il battistrada per tutti quegli altri Stati, piccoli o grandi, autoritari o democratici che siano, dell’ex terzo mondo che si stanno facendo spazio grazie a un costo del lavoro e della produzione ridicolo rispetto agli standard occidentali, alla prospettiva di immensi guadagni per le multinazionali e all’insipienza delle classi dirigenti europee.
Al centro della nostra visione delle politiche industriali vi è l’interesse nazionale, che è poi anche l’interesse delle imprese italiane, delle famiglie, dei consumatori e dei lavoratori italiani. Tutti soggetti che soffrono la stessa mancanza di attenzione dei loro omologhi negli altri Stati dell’Unione Europea. E’ l’Europa tutta a doversi indirizzare in maniera diversa. Senza paure né timori reverenziali nei confronti di alcuno.
Per questo riteniamo che sia ora di cambiare rotta: le insufficienze che abbiamo sotto gli occhi sono state dovute in gran parte all’incapacità – o alla non volontà – da parte degli Stati europei e dei burocrati di Bruxelles di intervenire, anche in maniera diretta (in particolare sulle importazioni), per garantire e tutelare attivamente l’interesse degli Stati membri. Intervenendo con vigore, indirizzando le scelte interne, ponendo limiti e freni all’aggressività esterna.
Riteniamo doveroso, in materia di tutela del lavoro e della produzione nazionale ed europea:
introdurre clausole sociali per l’importazione dai paesi extracomunitari a tutela di diritti dei lavoratori di quegli stati che siano equivalenti a quelli europei;
pretendere che siano rispettati nei paesi di produzione gli stessi obblighi a tutela dell’ambiente e della salute in vigore nell’Unione e ai quali sono soggette le nostre imprese;
non temere – di fronte a fenomeni di vero e proprio dumping – di applicare tassazioni sull’importazione;
rivedere drasticamente le politiche antitrust e anti-sostegno alle imprese da parte dell’UE, limitandole ai veri e propri casi in cui viene violata la lealtà della concorrenza attraverso la creazione di cartelli.
"Capisco perché i Dieci Comandamenti sono tanto chiari e privi di ambiguità: non furono redatti da un'assemblea." Konrad Adenauer
C’è un futuro che ci aspetta, sta solo a noi costruirlo. I nostri riferimenti ideali sono ben delineati e non ci dovranno essere tentennamenti sul sapere da dove veniamo. Ne La Destra, senza nostalgie, non avra’ spazio lo sciocco imbarazzo per le pagine di storia che caratterizzarono la stagione della Repubblica sociale italiana. Ridiscutere i canoni conformisti della cultura nazionale e’ una delle nostre missioni e non puo’ essere riservata solo a storici coraggiosi del nostro tempo, ma alla voglia di verita’ di una comunita’ intera.
Senza sterili rivendicazionismi che appartengono al passato, ma anche con la fierezza di non voler considerare la storia nazionale come qualcosa di intangibile.
Per fare tutto questo abbiamo finalmente l’occasione di uscire da una condizione di fragilita’ quale quella che inevitabilmente si presenta a chi si affaccia con una storia tutta da costruire e un’organizzazione tutta da edificare.
Dal primo congresso nazionale de La Destra dovra’ uscire un partito orgoglioso di se’ e consapevole delle proprie enormi potenzialita’, con uno statuto che dovra’ fissare regole certe, diritti e doveri.
A partire dal principio di lealta’, che va stabilito innanzitutto – e nel primo articolo – come elementare forma di rispetto verso la propria comunita’. Non dovra’ mai piu’ accadere che un dirigente possa interpretare a proprio piacimento la linea politica senza esserne chiamato a renderne conto. L’errore piu’ grande che si possa commettere e’ quello di provocare sbandamenti di cui non avvertiamo alcun bisogno. Largo spazio alla discussione, come e’ giusto che sia, ma la linea che il congresso sancisce e gli organi dirigenti saranno chiamati ad attuare dovra’ essere portata avanti da chi la sostiene e non da chi la contrasta: la nostra comunita’ ha nel proprio biglietto da visita il sacrificio prima ancora delle pagine dei quotidiani.
La politica ha bisogno dei partiti. Ma la ragione di esistenza di un partito è legata al principio della rappresentanza. Al di là della volontà di chi li costituisce, sono gli elettori che determinano la funzione politica di un partito. Per tale ragione, riteniamo che un partito deve adempiere a una funzione sociale: non vive e cresce per i propri aderenti, si consolida e diventa rappresentativo solo se è funzionale alla Nazione.
Le riflessioni fin qui svolte sul contesto politico e istituzionale nel quale siamo chiamati a operare, oltre che sulla dimensione che – a nostro avviso – La Destra dovrebbe assumere come soggetto politico identitario, in quanto sintesi tra la centro e periferia, tra identità nazionale e identità locali, entrambe espressione di una italianità da difendere nel mondo globalizzato, ci spingono a immaginare nel prossimo futuro l’organizzazione di un partito che dovra’ ragionare su come strutturarsi a base regionale, con forte responsabilizzazione delle classi dirigenti locali.
Ciò non deve voler dire esautorare il livello di vertice dal controllo del territori. Significa, invece, adeguare il partito alla sfide del suo tempo. Può il ruolo crescente delle Regioni e la loro specificità non trovare riscontro in una forma-partito di tipo federale? Certo in molta parte d’Italia abbiamo una classe dirigente preparata e all’altezza di autodeterminarsi, ma riuscirà mai a farlo senza un vero investimento politico del vertice sulle periferie? E’ questa la sfida del prossimo tempo de La Destra, in cui gli organi dirigenti eletti dal Congresso nazionale dovranno cimentarsi con tempistiche ben precise, a partire da singole e sperimentali realta’ territoriali.
Accanto alla dimensione regionale, che va preparata con i singoli territori, il partito non può fare a meno di dotarsi di un luogo di confronto nazionale. Serve una assemblea che conduca almeno una sessione annuale, su più giorni, per definire e aggiornare la linea politica del Movimento.
Il mondo giovanile e quello delle donne, cui riserviamo grande autonomia per statuto, dovrà lavorare alla formazione della classe dirigente, esigenza primaria per un partito che vuole riuscire a darsi un assetto stabile e vuole aprire un dialogo con la maggioranza del popolo italiano.Un capitolo a parte, che necessiterà di molto impegno da parte della nuova classe dirigente nazionale e del territorio, sarà necessariamente quello dedicato al terzo settore: il movimento non potrà essere assente dal mondo del volontariato, dello sport, del tempo libero, campi di ricerca e creazione del consenso, selezione di donne e uomini. Anche li si misurerà la nostra capacità di organizzazione e di trasformare le idee, le intuizioni, in fatti concreti nella ricerca del binomio efficacia/efficienza che dovrà rappresentare la sintesi della nostra azione specie nel governo del “parallelo”.
Il nuovo statuto dovra’ lasciare spazio al dissenso, come e’ tipico di un movimento che crede autenticamente nella democrazia. Ma questo non potra’ essere visto come il lasciapassare verso una concezione anarchica delle regole che non ci appartiene. Quindi, avanti nel rafforzamento del ruolo del Garante degli iscritti, ma anche poteri sanzionatori al comitato etico per chi alle regole contravviene in maniera deliberata ed evidente.
Le strutture territoriali provinciali saranno elette dagli iscritti. Il secondo congresso nazionale sara’ chiamato anche a pronunciarsi sull’elezione diretta del segretario nazionale e dei portavoce regionali, in modo da garantire rappresentativita’ e gerarchia sulla base dei consensi ottenuti non da una ristretta platea di delegata, ma da una ben piu’ ampia base elettorale.
L’albo dei fondatori dovra’ essere periodicamente aggiornato, con innovazioni statutarie. Gratitudine massima per chi nel luglio 2007 decise di fondare La Destra, compiendo un passo coraggioso e decisivo per la nostra storia, ma troppo spesso si confonde quello che si fece allora come un lasciapassare per qualunque iniziativa contrastante con lo spirito di quella intuizione. Occorrera’ essere degni di continuare ad essere considerati fondatori e questo compito andra’ affidato allo stesso Comitato etico.
Il tesseramento al movimento continuera’ ad essere libero, fatta salva la clausola di salvaguardia da riservare al comitato etico su segnalazione dei dirigenti locali o nazionali: la quota andra’ ripartita per favorire il territorio, lasciandone solo il 25% per la direzione centrale del partito e decidendo nella sede congressuale la ripartizione fra regionale, provinciale e locale del restante 75%.
Occorrera’ altresi’ stabilire nel nuovo statuto i meccanismi legati alle dimissioni e/o alla revoca degli organi interni, a partire dal segretario nazionale fino alle strutture locali, in modo da garantire la sovranita’ del partito sulle singole persone.
E in particolare ai nostri giovani dovra’ essere lasciato campo libero per l’organizzazione di iniziative che puntino sulla cultura della liberta’, soffocata da troppi anni dal conformismo che impera nei media.
COMUNICANDO….
Migliaia di blog in ogni angolo del Paese per restituire vita alla nostra creativita’ dovranno vedere lo sforzo corale di tutto il Partito. Mettersi in discussione fara’ bene a tutti. Senza censure.
Viviamo nella società della comunicazione e la propaganda diventa un elemento centrale per avvicinare fasce di elettorato. A maggior ragione se si vuole provare ad aggredire l’area del non voto.
Da questo punto di vista il nostro movimento ha certamente tentato alcuni esperimenti significativi, proprio come i blog e il quotidiano online. Tuttavia, occorre pensare una compiuta strategia di comunicazione e tentare di elaborare una vera operazione estetica, nel senso più alto, per accreditare il nostro partito e le sue idee.
Non è certamente giovato alla campagna elettorale, ma i tempi forse non consentivano soluzioni alternative, utilizzare espressioni forti e lasciare alle periferie la possibilità di un’autonoma veste grafica per manifesti e volantini.
Le priorità di un movimento d’opinione, se il nostro vuole tentare di diventarlo, sono la costituzione di un vero e proprio network e la elaborazione di un’apposita strategia per i media di carattere regionale. Se è vero che non riusciamo a conquistare spazi nella comunicazione nazionale (Rai e Mediaset in modo particolare), è pur vero che da parte dei vettori a carattere locale, quotidiani e televisioni, esiste un’apertura anche al nostro Movimento. Sta a noi trasmettere alle periferie, sulla cui autonomia si è già detto, un piano di comunicazione efficace per tentare di entrare nelle case degli italiani.Dovremo anche sperimentare una web radio ed un web videogiornale utilizzando, anche qui, gli strumenti della comunicazione internet.
UNA NUOVA ITALIA PER DAVVERO: ripartire dall’unita’ nazionale
La pesante eredità lasciata dal governo di centrosinistra segna un’Italia indietro rispetto a tutti gli altri partners europei e ormai lontana dall’essere un gigante economico. Sarebbe, tuttavia, una menzogna accreditare alla evidente e totale inadeguatezza del governo Prodi, ogni indice negativo. L’amara realtà è che da decenni il nostro Paese non cresce poiché la politica non è stata capace di creare condizioni di sviluppo armonico per il territorio.
Siamo un Paese vecchio, incapace di investire sulla ricerca e la formazione, ancora prigioniero di mille burocrazie e delle incrostazioni clientelari che la cattiva politica degli anni del consociativismo ci ha lasciato. Per di più, a fronte di un Nord produttivo e con alti livelli occupazionali, il Mezzogiorno – come ha confermato anche il rapporto Svimez 2008 – resta l’anello debole di un sistema-Italia incapace di competere in Europa e nel Mondo.
Le imprese segnalano difficoltà di esternalizzazione dei propri prodotti e di competitività del nostro mercato, il settore agricolo è in piena crisi per l’ingerenza dei mercati stranieri, il commercio patisce i ridotti consumi derivanti dal minore potere d’acquisto delle famiglie, l’accesso al lavoro è condizionato dalle storture prodotte dalla riforma Biagi che hanno trasformato giovani e meno giovani in precari a vita.
A queste emergenze il governo di centrodestra intende rispondere con una manovra fiscale che punta ai tagli alla spesa corrente e vaticina – come ha affermato il ministro Tremonti – lo spettro di una crisi mondiale, incentivata dall’aumento del greggio e dall’impatto nel sistema globale dei mercati asiatici.
Accanto a misure che, ancora oggi, appaiono incerte nel risultato finale, la panacea di tutti i mali sembra essere il cosiddetto federalismo fiscale, principio sul quale anche il movimento La Destra è favorevole, se è solidale e se non consolida la capacità economica di alcune regioni a danno di altre. Se federalismo fiscale significa un Nord sempre più ricco e un Sud sempre più povero, il nostro movimento assumerà certamente ogni iniziata per impedire una scelta dannosa a tutto il Paese e non solo a una parte di esso.
Invero, oltre ogni iniziativa dal sapore propagandistico, oggi è il Sud la vera emergenza da affrontare, poiché un Italia a due velocità non potrà mai vincere la sfida della competitività oggi con gli altri membri dell’Unione europea, domani con tutti gli Stati che dal 2010 opereranno nella zona di libero scambio euro-afro-asiatica. E non occorre scomodare la storia del Movimento sociale italiano per ricordare quale attenzione verso il Mezzogiorno ha sempre mostrato la Destra.
Di fronte a un esecutivo che è ancora condizionato fortemente da un solido asse tra la Lega Nord e il plenipotenziario ministro dell’Economia e delle Finanze, la nostra azione politica deve essere indirizzata a dare vita a un grande progetto politico ed economico per il Mezzogiorno. Anche la neo presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, ha sottolineato come una particolare attenzione verso il Sud del Paese è certamente di utilità per il sistema economico nazionale, e quindi anche per il Nord.
L’idea di unita’ nazionale è componente essenziale della nostra identità e l’interesse del Paese è al centro della nostra azione politica. Per tale ragione il movimento La Destra deve promuovere nei primi mesi del prossimo anno una grande conferenza nazionale sul Mezzogiorno, ove chiamare a raccolta il mondo dell’impresa, del sindacato, delle attività produttive e quanti operano oggi per costruire una rete locale di associazioni nel Sud. Con quanti assieme a noi ne condividano l’opportunità, occorre varare un vero e proprio Piano Marshall per il Mezzogiorno, chiamando alle proprie responsabilità le classi dirigenti del Sud.
Se l’obiettivo è superare le disuguaglianze tra il Nord e il Sud del Paese, La Destra dev’essere capace di interpretare le differenze di ciascun territorio, indicando una strategia per consolidare il sistema economico settentrionale e un’altra, diversa, per colmare i ritardi cui è stato costretto il Sud sia dal processo di unità nazionale, sia dalla ‘cattiva politica’ che, dai tempi della Cassa per il Mezzogiorno, ha imposto la via dello sperpero di risorse, piuttosto che quella dello sviluppo.
UNA NUOVA ITALIA. PER DAVVERO: ambiente e valori
La Destra italiana dovra’ essere capace di darsi un’organizzazione pronta ad affrontare tutti i temi piu’ importanti della societa’, a partire da quello troppo a lungo trascurato e per questo egemonizzato financo dalla sinistra piu’ estrema: l’ambiente, terreno di battaglia ideale per una forza politica che voglia fare della persona il riferimento della societa’ giusta. politiche ambientali, raccolta differenziata (con conseguente riduzione e poi abolizione della tassa sui rifiuti), investimento sulle fonti alternative pulite, ricerca verso il nucleare di quarta generazione sono altrettanti tasselli di una politica proiettata al futuro, garante della salute, rispettosa del progresso, custode della propria sovranita’ e indipendenza, lontana dall’affarismo.
Riprenderemo con forza il grande tema dei valori dell’Uomo per ribadire che per La Destra la Vita è Sacra. Senza dubbi né esitazioni. Al centro della nostra proposta politica vi è la Persona, dal concepimento alla morte, con i suoi diritti e la sua dignità. Su questo non possiamo accettare alcun compromesso.
Per questo motivo ci opponiamo con forza a qualsiasi progetto di legge che vada in senso contrario. Diciamo un secco no a qualsivoglia sperimentazione sugli embrioni.
Per La Destra la ricerca scientifica sull’Uomo merita approvazione ed incoraggiamento quando è in grado di coniugare – come ha detto Papa Benedetto XVI - “felicemente insieme il sapere scientifico, la tecnologia piu' avanzata in ambito biologico e l'etica che postula il rispetto dell'essere umano in ogni stadio della sua esistenza. [...] Di fronte alla diretta soppressione dell'essere non ci possono essere ne' compromessi ne' tergiversazioni; non si puo' pensare che una societa' possa combattere efficacemente il crimine, quando essa stessa legalizza il delitto nell'ambito della vita nascente".
Cosi’ come La Destra ribadisce con fermezza la propria contrarietà a ipotesi che aprano la strada all’eutanasia.
La rinuncia all’accanimento terapeutico non può e non deve trasformarsi in abbandono terapeutico tendente a privare il paziente – quand’anche dichiarato in stato irreversibile dei sostegni vitali di alimentazione, idratazione e respirazione.
Anche nel caso siano riscontrabili la volontà attuale o anticipata del malato e quella dei suoi familiari, concordiamo con quanto espresso dal Comitato Nazionale per la Bioetica nel 2003 circa il fatto che tali volontà “non possono avere per oggetto la decisione di togliere la vita al malato stesso”.
Non è una questione di fede, è la ragione stessa a suggerirci questa scelta di civiltà.
Lo spirito originario della 194 prevedeva che la tutela della maternità fosse sempre più effettiva, anche attraverso l’opera dei consultori.
Riteniamo necessario che le Regioni si assumano il compito di applicare un nuovo protocollo da usare nei consultori per fare quella reale opera di prevenzione nei confronti delle donne che manca del tutto
Il fine è quello di arrivare ad una corretta applicazione della 194, in relazione agli articoli 2 e 5 che sanciscono il ruolo di prevenzione dei consultori.
A fronte del calo delle nascite dobbiamo registrare come siano oltre quattro milioni e mezzo le interruzioni di gravidanza dal 1978 a oggi a fronte di 15 milioni di bambini nati. Una cifra spaventosa che si raffigura come una vera e propria spada di Damocle sul futuro del nostro popolo. E sul drammatico tema delle tossicodipendenze e della lotta alla droga ed alle nuove droghe in particolare, ci piacerebbe riproporre il vecchio slogan “Non droga per morire ma ideali per lottare” in cui continuiamo a credere, ma riteniamo che – ben più che agli slogan – sia giunto il tempo di pensare a serie e dure politiche di repressione dello spaccio di droga a qualsiasi livello, dal grande narcotrafficante allo spacciatore di strada e di quartiere: elevando le pene fino al livello di massima gravità; e contemporaneamente all’agire per disinfestare le nostre città da questa somma di veleni supportare le Comunità terapeutiche e il volontariato sociale che ad oggi si sono dimostrati – se non gli unici – sicuramente i più efficaci attori nel recupero di quei tanti troppi giovani che sono caduti nel vortice di una tossicodipendenza.
UNA NUOVA ITALIA. PER DAVVERO: lo stato giusto
Il tema della povertà non può che essere centrale nell’azione politica di una forza che si richiama ai principi della Destra sociale. E l’Italia di oggi conosce ataviche zone di povertà nel proprio territorio cui, di recente, si sono aggiunte categorie di ‘nuovi poveri’.
Il rapporto Istat 2008 e il rapporto Svimez 2008 segnano una crescente fascia di italiani che vivono con un reddito familiare medio inferiore ai ventimila euro annui. Esistono, inoltre, fortissimi squilibri determinati – come accennato anche in precedenza – delle diverse velocità cui, nel Nord e nel Sud, procede il nostro fragile sistema economico. Non può destare stupore, che a fronte del dato medio nazionale, nel Mezzogiorno si addensino le più ampie sacche di povertà, con picchi del 70% di popolazione con reddito familiare medio inferiore a diciottomila euro.
Ma chi sono i nuovi poveri? La politica monetaria di questi anni e l’impatto negativo determinato dall’introduzione dell’euro, ha prodotto l’emergere di nuove categorie sociali un tempo benestanti e oggi in difficoltà. Docenti di scuola, militari, forze dell’ordine, dipendenti pubblici, lavoratori autonomi, impiegati, pensionati: sono solo alcune delle nuove figure che, oggi, vivono il dramma della cosiddetta terza settimana.
Le politiche di governo degli ultimi dieci anni non sono riuscite a creare una redistribuzione delle risorse, intervenendo su alcuni significativi settori. Ha sbagliato il governo Berlusconi nel 2005 quando ha iniziato una politica di tagli fiscali che hanno privilegiato le imprese piuttosto che le famiglia; ma il colpo di grazia l’ha dato la politica fiscale del famigerato trio Prodi-Visco-Padoa Schioppa, che ha massacrato il ceto medio introducendo nuovi e insopportabili balzelli.
Oggi la congiuntura economica internazionale e la condizione patologia del bilancio dello Stato non consentono grandi spazi di manovra. Tuttavia, è improcrastinabile definire una strategia che consideri prioritario intervenire sulle fasce sociali di indigenti, la cui diminuita capacità di spesa ha determinato anche quella crisi dei consumi che, oggi, rappresenta un freno alla nostra economia.
Da dove iniziare? Ad avviso de La Destra una sana politica per i ceti deboli va determinata intervenendo sui costi fissi che oggi occupano una parte significativa del bilancio familiare. Bollette, affitti, mutui, assicurazioni, tasse: sono questi i campi sui quali agire con immediatezza. Se a queste misure si vorrà affiancare, come noi proponiamo, l’individuazione di modelli di sviluppo differenziati per le diverse aree geografiche del Paese, sarà possibile raggiungere l’obiettivo della drastica riduzione della fasce di povertà accompagnando la riduzione del costo della vita a una nuova politica occupazionale.
La Destra intende affermare in ogni sede il principio secondo cui ogni famiglia ha diritto alla proprietà della propria abitazione, senza sottostare a meccanismi di impoverimento del reddito familiare attraverso la pratica degli affitti. È per noi diritto di tutti i cittadini italiani immaginare il proprio futuro con l’idea di un tetto sopra la testa e con la solidità di quattro mura di proprietà in cui poter far vivere la propria famiglia.
Per questo motivo intendiamo promuovere in ogni sede proposte di natura legislativa che vadano in tale direzione oltre che contribuire ed appoggiare trasversalmente le campagne politiche già in atto sul “Mutuo Sociale”.
Quello della casa non é soltanto un diritto di proprietà, ma deve essere riconosciuto soprattutto come un diritto alla proprietà. Lo Stato deve iscrivere nel suo programma la creazione di un Ente Nazionale che, allo scopo di agevolare l'acquisto della prima casa da parte delle famiglie italiane, istituisca un fondo sociale con lo scopo specifico di rendere attuabile, attraverso norme semplici, ferree e automatiche ( cioe' non soggette al vaglio interessato di alcuno), l’acquisto stesso. Il fondo dovra’ essere generato dall'aumento della tassazione per banche ed assicurazioni.
Vogliamo con forza che nell’assegnazione degli alloggi popolari venga utilizzato il criterio della “preferenza nazionale”: di fronte alla piaga dell’emergenza abitativa non possiamo accettare che in nome di altri interessi cittadini italiani che abbisognano una abitazione per spostarsi e lavorare in luoghi diversi da quello d’origine, o che molto più semplicemente hanno una famiglia che deve poterci vivere senza subire i costi – in certi casi insostenibili - di un affitto a prezzo di mercato non siano automaticamente inseriti con diritto di precedenza nelle liste per l’assegnazione.
La Destra riconosce l’acqua come bene primario della nazione e di prima necessità per il nostro popolo, e in tal senso lo considera di interesse strategico dello Stato.
Per questo motivo – e diversamente da molti altri settori - riteniamo sia doveroso considerare l’acqua, la sua gestione, la sua distribuzione e la vendita al consumatore un “bene pubblico” meritevole della massima tutela da parte dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali.
Gli interessi dei privati in questo settore non possono prevalere rispetto all’interesse generale.
Le politiche di privatizzazione delle acque vanno completamente riviste anche al fine di ritornare a tariffe di vendita che non penalizzino il consumatore e contemporaneamente tutelino questo bene pubblico.
Riconosciamo valenza al Progetto H2O – Acque sociali nato nell’ambito del movimentismo giovanile di Destra.
Le aziende pubbliche che gestiscono e distribuiscono l’acqua devono rimanere o devono nuovamente essere riconvertite in un capitale di azienda totalmente pubblico, senza alcuna infiltrazione di privati. Tutti i cittadini-consumatori saranno a loro volta soci dell’azienda. Il maggiore azionista rimarranno gli enti locali preposti, che dovranno gestire l’azienda nell’interesse comune.
Patrimonio essenziale della Destra è riconoscere la Famiglia come nucleo centrale del corpo sociale, cellula base della più vasta comunità nazionale.
È la famiglia – sede primaria di formazione e sviluppo degli individui - il completamento principale di ogni relazione tra la Persona, la comunità e le Istituzioni.
In questo senso un rinnovato Stato sociale non può non tenere al centro delle sue considerazioni innanzitutto i corpi familiari con le loro funzioni storiche di tutela dei bisogni dei propri componenti, educazione e formazione primaria della generazioni future, nonché di sviluppo della società e procreazione dei propri figli, che devono essere adeguatamente incoraggiate e predisposte attraverso elementi normativi e di natura economica, anche al fine di invertire il trend di invecchiamento della nostra nazione.
E’ fondamentale far evolvere la scuola italiana in linea con quella tradizione gentiliana che ad oggi rimane un pilastro ineludibile per qualsiasi tentativo di riforma che voglia essere serio.
Se lo slogan fortunato che fu della Casa delle Libertà prevedeva le 3 “i” di inglese, internet e impresa come elementi centrali di un ragionamento modernizzatore per la scuola italiana, noi crediamo che vada oggi invece posto l’accento su una quarta “i”, quella di “Identità” che deve tornare orgogliosamente nei programmi scolastici e che non può più venir annientata dalla cultura post-sessantottina che vuole educare i nostri figli come individui sradicati, cosmopoliti e privi della conoscenza della propria storia e della propria memoria (autentiche basi su cui costruire con successo il proprio futuro) senza capacità critica in una scuola massificata che continua a rifiutare il merito come primo ed essenziale elemento di selezione e avanzamento negli studi.
Identità: a maggior ragione ribadiamo questo nostro pensiero nel momento in cui sempre più sono compagni di classe degli studenti italiani migliaia di immigrati e i loro figli.
Cosi’ come ribadiamo qui la nostra assoluta contrarietà all’insegnamento del Corano nelle nostre scuole, sperando che nessuno ne parli più nel variegato mondo del centro-destra.
In più crediamo sia doveroso introdurre l’obbligo di studiare la cultura e la civiltà giuridica del nostro Paese proprio al fine di non creare sacche di emarginazione tra gli studenti di culture e religioni diverse.
L’altra metà del cielo è qui sulla terra. Sempre maggiore è il ruolo della donna, caricato di ulteriori responsabilità e oneri nella vita moderna. Il ruolo di donna-lavoratrice non ha sostituito ma si è sommato a quello della donna- madre, caricando l’universo femminile di problematiche e bisogni che lo Stato stenta a risolvere rendendo ben poco agevole la conciliazione dei molteplici, e a volte pesantissimi, compiti al cui svolgimento è chiamata la donna.
È doveroso e non più procrastinabile intervenire con politiche di sostegno a questi compiti, tanto nel mondo del lavoro quanto in quello dell’assistenza all’infanzia per le madri lavoratrici.
Mai come in questi mesi si è respirata negli ultimi anni un’aria di precarietà gelida.
È un clima che colpisce tutti: dal ceto medio che si vede sottratte le possibilità di consumo del passato alle fasce più deboli della popolazione che sono sospinte sempre più verso il baratro della povertà; dai giovani, eternamente precari, con stipendi poco più che stagionali e comunque miseri che impediscono di “metter su famiglia”, ai cinquantenni che rischiano l’espulsione dal mondo del lavoro con l’unica certezza che rientrarvi sarà impresa titanica, fino agli anziani costretti a fare i conti con la dura realtà di pensioni da fame.
Sono quasi il 20% le famiglie italiane impoveritesi negli ultimi anni. L’impatto dell’Euro, la globalizzazione dei mercati, la delocalizzazione delle imprese, l’ingresso prepotente dei giganti economici d’oriente: tutto questo ha pesantemente innescato una crisi economica e sociale che rasenta il declino.
Nel gran dibattere tra conservatorismi di sinistra e deregulation liberiste, chi paga il conto sono i lavoratori italiani e le loro famiglie: con ridotte prospettive occupazionali, difficoltà a superare la terza settimana del mese e una tassazione eccessiva, ingiusta e ingiustificata.
I giovani sono i più colpiti dalla piaga del precariato: se la Legge 30 ha senza dubbio favorito l’accesso al lavoro per centinaia di migliaia di giovani, è altrettanto vero che non è stata in grado di garantire né lavori qualificati e qualificanti, né – nella maggior parte dei casi – il prolungamento del rapporto di lavoro.
E soprattutto ha creato – tra le generazioni che si sono da poco affacciate sul mondo del lavoro – un diffuso senso di incertezza rispetto al proprio futuro.
Noi non riteniamo affatto che la Legge Biagi sia il “mostro da abbattere”: crediamo però sia necessario affiancarle altri pilastri per una maggior solidità del mondo del lavoro.
Si tratta innanzitutto di intervenire con incentivi fiscali estremamente vantaggiosi per quelle imprese che intendano trasformare il rapporto di lavoro occasionale e a progetto in un rapporto di lunga durata con prospettive di carriera e garanzie di sicurezza.
A fronte di una spesa sanitaria esorbitante la qualità del “sistema sanitario” è davvero deficitaria, e spesso questo provoca in troppi ambienti l’idea di dover eliminare progressivamente il “pubblico”, considerato inefficiente, a vantaggio del “privato” che garantirebbe standard qualitativi migliori.
Noi al contrario (sicuri che in Italia non vada affatto ridotta la spesa sociale , ma vada invece bene indirizzata e qualificata) siamo convinti che vada potenziato l’intero Sistema pubblico, restituendo capacita’ di controllo allo Stato: intervenendo per rimuovere tutte le incrostazioni burocratiche, controllando fortemente le spese inutili e rimuovendo i deficit di sistema, ma sempre tenendo al centro della nostra visione il cittadino-paziente, garantendo in particolare ai non abbienti la possibilità di scegliere dove e come farsi curare.
In questo senso La Destra si batterà sempre perché chi non è nelle condizioni economiche per farlo privatamente possa comunque essere curato e assistito secondo criteri qualitativi e di eccellenza.
Inoltre è doveroso rivedere, alla luce delle nuove esigenze di una società moderna che fa i conti con i costi e la concorrenza del mercato globale, le vecchie figure contrattuali a tempo indeterminato, introducendone altre nuove, specifiche per chi deve fare il suo ingresso nel mondo del lavoro, che siano premianti e tutt’altro che penalizzanti per l’impresa.
In estrema sintesi: per La Destra assumere un nuovo giovane lavoratore non deve in alcun modo significare pagarlo di meno, ma al contrario deve costare meno in tasse e contributi di cui si deve fare carico lo Stato in un “Piano strategico di Lotta alla Disoccupazione”.
Sono tutte esigenze non rinviabili.
Riteniamo urgente ed indispensabile rivedere in maniera drastica e radicale il sistema del prelievo fiscale in Italia. L’oppressione fiscale deprime i consumi, scoraggia gli investimenti e spaventa lo spirito di intrapresa. Non è giusto né equo che i lavoratori italiani lavorino 8 mesi per pagare un’innumerevole quantità di tasse e soltanto 4 mesi su un anno lavorativo vadano a beneficio delle loro famiglie.
È nostra convinzione che una riduzione drastica del prelievo fiscale ridurrebbe enormemente il numero degli evasori e porterebbe tutti a pagare ciò che è giusto con la consapevolezza di avere in cambio servizi e partecipare ad una grande azione di solidarietà nazionale.
I punti di riforma radicale della Destra sul prelievo fiscale:
Per le famiglie:
a) se la famiglia è la prima forma comunitaria di organizzazione sociale è giusto considerare la ricchezza di una famiglia nel suo complesso e non attraverso il reddito dei singoli che la compongono:
b) introduzione del quoziente familiare complessivo
c) riduzione del numero delle aliquote e abbassamento del carico Irpef per tutte le fasce di reddito
Per il territorio:
chi come noi crede che le politiche di sviluppo debbano essere strettamente legate al territorio non può non considerare che si debbano unire virtuosamente tre principi:
a) una fiscalità differenziata per il Mezzogiorno e le aree a minor sviluppo economico industriale da applicarsi attraverso riduzioni fiscali che vadano a sostituire progressivamente il sistema degli incentivi
b) l’attuazione del cosiddetto federalismo fiscale, certamente secondo il principio giusto per cui automaticamente una considerevole parte del gettito rimanga sul territorio e venga in quel contesto amministrata e gestita, ma prioritariamente partendo dall’individuazione di criteri certi che determinino l’affermazione del principio di solidarieta’, nel nome della coesione nazionale
c) riduzione della fiscalità in quei Comuni che subiscono il problema dello spopolamento e dell’abbandono abitativo e imprenditoriale
Per le imprese:
a) abolizione dell’IRAP per le imprese artigiane, il commercio al dettaglio e le piccole e medie imprese
b) patrimoniale per banche e assicurazioni. In particolare, finalizzando questo tipo di tassazione a:
- finanziare il “mutuo sociale” per l’acquisto dell’abitazione;
- contribuire al pagamento degli interessi dei mutui ventennali a tasso agevolato della prima casa popolare (costruita da enti pubblici) delle giovani coppie;
- sostenere la nascita di nuove imprese gestite da giovani, anche attraverso la sperimentazione di un periodo “no tax” per le nuove iniziative imprenditoriali e professionali giovanili;
- defiscalizzare di un terzo il lavoro femminile per arrivare alla pari retribuzione tra donne e uomini.
Ci impegneremo in sostanza a restituire giustizia sociale al nostro popolo, e cercheremo ovunque compagni di strada per sostenere l’abolizione della clausola di massimo scoperto bancario, misure per l’introduzione della proprietà popolare della moneta, il divieto per i comuni di piccole dimensioni di sottoscrivere strumenti finanziari derivati, la vendita parziale delle riserve auree dello Stato a beneficio del debito pubblico, nuove norme sulla proprietà della Banca d’Italia e la trasformazione delle banche popolari in società per azioni di diritto speciale, la lotta al signoraggio bancario, la fine dello scandalo di mutui che trascinano per decenni e costringono i cittadini a pagare prima gli interessi e poi il capitale.
Non poniamo pedissequamente un tema del passato, ma il tema decisamente nuovo, rispetto all’ottocentismo imperante, della partecipazione. E lo vogliamo porre – questo tema attualissimo, che viene da lontano – con il massimo vigore: nella convinzione che se ben proposto, capito e accettato esso potrà dare le risposte adeguate ai bisogni del nostro popolo.
La Partecipazione si accompagna ai temi della Responsabilità Sociale dell’Impresa e delle nuove forme contrattuali di lavoro con cui superare tutti i limiti attuali della diatriba tra lavoro a tempo indeterminato e lavori flessibili; inoltre,una riforma matura e partecipativa del sistema industriale potrebbe porre l’Italia nella condizione di superare definitivamente i difetti propri del nostro sistema di relazioni industriali, le malattie del nostro sistema imprenditoriale affetto troppo spesso dal familismo - e a volte da un nanismo incapacitante - per far affrontare con gli strumenti più adeguati la sfida globale, che è di fronte a noi, qui e oggi.
Portare nell’impresa i temi della corresponsabilità, della missione aziendale, della responsabilità sociale attraverso la partecipazione potrà dunque essere per il mondo del lavoro, per il corpo delle imprese e per quella parte di sindacato che intenderà confrontarsi liberamente su questo terreno, l’occasione giusta per un salto di qualità di tutto il sistema economico-sociale.
Non è nostra volontà obbligare alcuno all’introduzione di meccanismi partecipativi che vadano nel senso della democrazia economica, anche se l’auspichiamo fortemente, ma c’è sicuramente da parte nostra tutta la volontà di premiare – fiscalmente e attraverso forme di bonus – chi vorrà incamminarsi su questa strada.
Andrà finalmente affermata la proposta di tornare a parlare di partecipazione attiva dei lavoratori (operai, tecnici, dirigenti) alla vita dell’azienda in cui operano. Il bastone del comando non può essere lasciato al solo capitale. Il quale come ben sappiamo non ha né patria né bandiera e corre là dove il profitto è maggiore. Occorre tutelarci. I nostri territori, le nostre famiglie. Occorre ripristinare un principio di partecipazione attiva. In un momento in cui si cerca di togliere ogni possibilità di scelta, in un momento di falsa democrazia, in cui si chiamano gli elettori a decidere sulle sorti del governo nazionale (negandogli poi in realtà la possibilità di individuare i delegati in quanto scelti dalle segreterie politiche) dobbiamo rivendicare il diritto al “governo” del nostro lavoro, del nostro reale futuro. Dobbiamo avere noi tutti, nelle nostre mani, con responsabilità, lo strumento che non ci faccia soccombere di fronte al mostro liberista.
Occorrerà sancire il principio che quando unità produttive, data la loro dimensione, hanno un impatto sul tessuto sociale del territorio in cui operano, vanno sottratte ad una logica di liberismo privatistico e ricondotte in una logica di interesse collettivo.
In ogni azienda le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno attivamente - attraverso una conoscenza diretta della gestione - all'equa fissazione dei salari, nonché all'equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi per parte dei lavoratori. In alcune imprese ciò potrà avvenire trasformando i Consigli di fabbrica e i Consigli di amministrazione in Consigli di Gestione con la partecipazione di tecnici ed operai. In altre ancora in forma di cooperativa.
Agricoltura. Occorre considerare preliminarmente che il settore agricolo interagisce con tutti gli elementi di criticità attualmente presenti nella situazione economica del paese: l’aumento dell’inflazione, lo stato di stagnazione dell’economia, il diminuito potere d’acquisto delle famiglie.
L’agricoltura, tuttavia, ha scandito tutta la storia dell’umanità sino ad essere definita, almeno nel nostro paese, settore primario dell’economia.
Con la nascita della comunità europea il settore primario ha perso quella che poteva essere definita la sua sacralità (fu detto”un popolo senza agricoltura è un popolo senza futuro”) ed è diventato subordinato di settori più forti e maggiormente in grado di condizionare le scelte politiche .
La crisi del settore si è accentuata, infatti, attraverso il fallimento della politica agricola comune (PAC) ,che di fatto, con le raccomandazioni del “disaccoppiamento “ e della “condizionalità”, ha pagato gli agricoltori per non produrre.
La Destra ritiene a questo proposito che occorre al più presto operare una profonda revisione della normativa europea della PAC anche perchè oggi, ed è ampliamente dimostrato, circa il 60% dei contributi va a soggetti che non vivono principalmente di agricoltura.
A livello istituzionale, in tema di rapporti con la UE , occorre evidenziare il fatto che il precedente esecutivo non è mai riuscito a pieno a rappresentare sui tavoli delle decisioni e dei negoziati una forte e caratterizzata politica agricola italiana.
Anzi spesse volte si è subita l’iniziativa degli altri partner europei
Ecco perchè vi è bisogno di una presa di coscienza politica da parte degli agricoltori italiani sulle insufficienze della politica agricola italiana ,sulla sua debolezza, sull’assenza di strategie che la contraddistinguono.
Il tutto aggravato dall’aumento del 10,4% su base 2008 del costo di produzione degli alimenti delle imprese agricole determinati dai rincari delle materie prime e del petrolio.
Specificatamente sulla base dei dati ISMEA relativi al mese di giugno 2008 gli incrementi dei costi di produzione dei cereali come grano, mais e riso hanno raggiunto una percentuale del 16%.
Incrementi consistenti dei costi si hanno anche per le coltivazioni industriali + 15%.
La causa della lievitazione dei costi va in oltre ricercata sopratutto per ‘impennata dei prezzi dei concimi(+49%), dei mangimi(+15%),oltre che in generale dei prodotti energetici(+10%).
E come non rimarcare il fatto, che il marcato aumento dei prezzi dei cereali, è derivato in gran parte da un ponderoso processo speculativo di livello internazionale.
Alcune stime effettuate dalle Associazioni Agricole di Categoria, stimano in circa 400 milioni di euro,il costo che l’Italia ha indirettamente sopportato.
Rilanciare, il comparto agricolo, è e sarà il compito primario che La Destra, nel solco di un’antica collaborazione e naturale simpatia con gli agricoltori italiani si assume: riempire l’evidente vuoto creato dalla disattenta politica italiana nei decenni scorsi ed approntare una strategia dell’attenzione verso l’agricoltura ed i suoi innumerevoli ed annosi problemi.
La Destra deve indicare prima di tutto la necessità della maggiore unità del mondo agricolo e deve auspicare che le storiche associazioni di categoria possano trovare l’accordo per una politica unitaria con la nascita di una sola organizzazione sindacale , che darebbe più forza all’azione di sostegno degli interessi agricoli nel nostro paese e in sede comunitaria.
Nel merito La Destra intende farsi , in modo più propositivo e concreto, vessillifera di una politica di difesa della qualità del prodotto italiano, del made in Italy, imponendo, tramite un’accordo internazionale da raggiungere in sede WTO, la lotta all’agropirateria che danneggia nel mondo soprattutto la nostra agricoltura e i suoi prodotti di qualità più noti.
La Destra ritiene inoltre che la partita del sostegno e dello sviluppo agricolo si gioca su più fronti.
A partire da quello della semplificazione delle procedure .
Un esempio: dall’apertura di “un’impresa in un giorno” alle nuove procedure per il lavoro occasionale reclamate a gran voce dalle organizzazioni agricole .
Sul piano della redditività delle imprese e su quello dei costi dei prodotti agricoli per i cittadini occorre innanzitutto “raffreddare” la crescita dell’inflazione sull’agroalimentare.
Rispetto al calo dei consumi, occorre poi creare un percorso virtuoso , che elimini le distorsioni e i molteplici passaggi, oggi esistenti nel percorso dei prodotti dalla terra alla Tavola degli italiani, lavorando nel contempo per creare una strategia che semplifichi , accorci e razionalizzi la cosiddetta “Filiera dei prodotti”.
La Destra si batterà per la multifunzionalità in agricoltura proponendo una legislazione capace di dare agli agricoltori più concrete possibilità di integrazione del proprio reddito agricolo.
Dopo la felice esperienza dell’agriturismo vi è da rendere più concreto e remunerativo con una opportuna legislazione, l’apporto degli agricoltori alla tutela dell’ambiente e alla produzione di energia attraverso le biomasse .
A questo proposito, La Destra ritiene di dover sottolineare per la soluzione dei problemi che pocanzi abbiamo evidenziato , le opportunità finanziarie offerte al riguardo dai piani di sviluppo rurale 2007-2013, recentemente negoziati a livello europeo.
A fronte dell’aumento inarrestabile dei prezzi petroliferi , appare irrinviabile imboccare al pari di altre soluzioni la strada dell’utilizzo delle biomasse di origine agroforestale e zootecnica a “filiera corta” per la produzione di energia.
Dall’attuazione di tale programma, il PIL agricolo trarrebbe forti e significativi vantaggi .
La Destra in conclusione segnala che ulteriore terreno da esplorare per l’incentivazione dei profitti delle aziende agricole sia quello ricompreso nel binomio caccia e ruralità.
Su questo terreno , un’infinità di azioni economiche possono essere previste a partire dal consolidamento o da nuove iniziative di aziende agrituristico venatorie, dalle ristrutturazioni e dai miglioramenti ambientali dei terreni agricoli vocati all’attività faunistico venatoria e dall’incentivazione della biodiversità con il ripristino di antiche coltivazioni.
Una frontiera tutta da esplorare può riguardare la questione relativa ai ripopolamenti di selvaggina che a tutt’oggi interessano una moltitudine di zone di ripopolamento gestite dalle associazioni venatorie maggiormente rappresentative.
Su questo tema un circuito virtuoso , dovrà collegare tra loro le istituzioni (regioni e province), gli allevatori agricoli e gli enti gestori dei parchi nazionali.
UNA NUOVA ITALIA. PER DAVVERO: lo stato sicuro
La lotta alla criminalità, a partire da quella organizzata di tipo mafioso, è parte integrante del nostro dna di movimento politico.
La caduta del vecchio sistema, quello fatto di consociativismi e compromessi tra la politica e il malaffare, è coincisa con la stagione della grandi stragi. E tutti ricordano quale atteggiamento la gente di Palermo tenne nei confronti di chi rappresentava lo Stato ai funerali di Giovanni Falcone e
di Paolo Borsellino.
Ma oggi siamo molto lontani da quei giorni di presa di consapevolezza e di mobilitazione delle coscienze attorno al valore della legalità. C'è una predisposizione della gente a vivere il tema della legalità in chiave egoistica, personale. La percezione della legalità assume nuove forme. L'assenza dello Stato e l'incapacità di dare risposte su questo fronte da parte della politica, ha prodotto un effetto imprevedibile: non c'è al centro il principio di legalità, il rispetto delle regole come dovere per tutti i cittadini, ma ciascuno vive il tema della sicurezza in chiave quasi egoistica.
Noi riteniamo che, in primo luogo, sia dovere dello Stato combattere la criminalità, di ogni tipo, per garantire sviluppo ai territori. E l'unico modo per garantire presidio del territorio e offrire risposte vere ai cittadini è determinare nuovi investimenti nei confronti del comparto della Pubblica sicurezza e procedere alla riforma del sistema della Polizia locale.
Accanto a questo impegno per recuperare uomini e mezzi, poiché a nostro modo di vedere la legalità attiene all'etica dei comportamenti, occorre iniziare un percorso culturale e sociale. Mai dimenticando che l'adesione a comportamenti criminali avviene dove c'è povertà, dove c'è miseria, dove le Istituzioni abdicano al loro ruolo.
La Destra, che ama la Libertà e si batte per garantire sicurezza alla vita dei propri connazionali propone un “Pacchetto Sicurezza” con le seguenti 7 proposte:
1) restituire autorevolezza alle forze di polizia reintroducendo il reato di oltraggio2) stop alle condanne in comodità con scarcerazioni facili legate all’affidamento ai servizi sociali3) rilevazione delle impronte digitali per gli stranieri con permesso di soggiorno per evitare le false
generalità4) numero chiuso nelle città agli stranieri - previa applicazione di una direttiva comunitaria sui loro
doveri praticamente ignorata - che non sono in grado di dimostrare come mantengono se stessi e la loro famiglia (e’ specialmente il caso delle comunità rom) ed espulsione dal territorio nazionale5) divieto di indossare il velo nelle scuole
6) le moschee si edificano solo se c’e’ il nulla osta del Viminale, non può più bastare l’autorizzazione del sindaco 7) come i sacerdoti italiani predicano in altri paesi nelle lingue locali, anche in Italia deve accadere che i sermoni e le preghiere vadano pronunciati in lingua italiana quando non codificati in testi riconosciuti.
In particolare sull’immigrazione, un concetto di fondo a cui ci ispiriamo è quello per cui nella nostra terra dobbiamo offrire ospitalità esclusivamente a chi se la merita e soltanto quando possiamo permetterci di farlo senza mai andare a turbare l’ordine sociale ed economico delle nostre città, facendo tutti gli sforzi possibili affinché esse non modifichino il loro volto apparendo città di altri paesi del mondo, perdendo irreversibilmente la loro identità.
Poniamo al centro del nostro discorso la difesa e l’affermazione dell’Identità italiana, che va difesa e affermata nella consapevolezza che sia possibile “aprirsi” a condizione di “non perdersi”: sapendo che stiamo parlando di un dramma complessivo che causa sradicamento per chi è costretto ad emigrare, impoverimento nelle terre d’origine e crescita di fenomeni criminali legati al grande business che accompagna il dramma dell’immigrazione specie clandestina.
In questo senso, oltre a quanto già esposto nel “pacchetto sicurezza” intendiamo sottolineare i seguenti punti meritevoli di attenzione:
limitare in modo drastico l’ingresso in Italia di persone provenienti da paesi extracomunitari, per almeno due anni e comunque fino al momento in cui non si sia fatta una mappatura completa del fenomeno migratorio e delle presenze sul territorio nazionale e della loro origine;
bloccare ogni nuova sanatoria che preveda la regolarizzazione di chi si trova in Italia in stato di clandestinità e dichiarare “reato” l’ingresso clandestino sul territorio nazionale per il quale viene decretata l’immediata espulsione; applicare le disposizioni di legge sulla Riduzione in schiavitù a chi si presta a far entrare illegalmente persone sul territorio nazionale e a chi le sfrutta; ricondurre il diritto di asilo alle sue originarie motivazioni;
visite mediche per accertare lo stato di salute dell’immigrato extracomunitario al suo arrivo nel nostro Paese, onde evitare che siano portatori delle malattie endemiche tipiche dei luoghi d'origine;
predisporre una legge che preveda il blocco dei ricongiungimenti familiari per l’immediato futuro e che successivamente li limiti al coniuge regolarmente riconosciuto dalle leggi di entrambi i Paesi e ai figli minorenni di ambedue i coniugi;
istituire una sorta di “Carta di soggiorno a punti” dalla quale scalare un punteggio ogni qualvolta viene commesso un reato commisurato alla gravità, colposa o dolosa, del reato stesso, al cui esaurimento viene prevista l’espulsione;
istituire accordi con tutti i paesi di origine per cui la pena detentiva per reati gravi commessi in Italia viene scontata nel paese d’origine senza peggiorare la situazione delle carceri italiane e senza gravare economicamente sul bilancio dello Stato;
impedire ogni tentativo – da qualsiasi parte provenga – di permettere l’esercizio del voto alle amministrative sancendo che esso è facoltà esclusiva dei cittadini italiani;
mantenere vigente l’attuale periodo minimo per la richiesta della cittadinanza italiana contro qualsiasi tentativo di abbassarne la soglia di tempo prevista, e al contempo dichiarare esplicitamente che, per fatti gravi e comprovati motivi, la cittadinanza sia revocabile qualora non sia stata acquisita per nascita.
La situazione della Giustizia in Italia è ormai prossima al collasso.
Nel settore civile ci sono circa quattro milioni di cause pendenti, oltre la metà da almeno tre anni, e le pendenze non accennano a diminuire. In media occorrono per la sentenza di primo grado almeno tre anni, ulteriori quattro anni per il giudizio di appello ed almeno tre anni per la Cassazione.
Nel penale le Procure della Repubblica sono intasate di fascicoli ed una buona parte di procedimenti si esaurisce con la prescrizione del reato. Nessun effetto deflativo ha avuto l’indulto che naturalmente ha agito sulle pene derivate da procedimenti ormai esauriti e non sui procedimenti pendenti, aggravando invece la situazione per nuovi processi a carico di chi, avendo usufruito dell’indulto, ha violato regole comportamentali ed è tornato a delinquere.
In termini di Giustizia sostanziale è evidente che un processo civile lungo e defatigante ostacola chi ha ragione, mentre un processo penale che si esaurisca nella sostanziale impunità non serve certo allo scopo primario: quello di proteggere la collettività dal crimine reprimendo chi si pone al di fuori delle norme dell’ordinato vivere civile.
La Destra rivendica la puntuale attuazione dell’articolo 111 della Costituzione, con un processo giusto, vicino alle esigenze del singolo cittadino ma attento alla protezione della collettività.
In materia penale si deve dare piena attuazione alla separazione delle carriere dei Magistrati, tra giudicanti e requirenti, ipotizzando anche la possibilità di sottrarre l’ufficio del pubblico accusatore, almeno nella fase strettamente processuale, alla Magistratura togata per affidare la difesa dello Stato a dei difensori di professione, esaltando in tal modo la terzietà del Giudice.
Nel civile bisogna assolutamente riservare al rito ordinario solo le controversie di maggiore rilevanza mentre le controversie minori debbono essere affidate a strumenti alternativi di conciliazione ed ad organi giudicanti anche non togati.
No a nuove forme di immunita’ e/o di impunita’ di tipo parlamentare.
UNA NUOVA ITALIA. PER DAVVERO: mai piu’ caste
Rilanceremo nel Paese la grande riforma presidenzialista: una grande Nazione che voglia dare capacita’ di decisione alla politica non si ferma al dibattito sullo sbarramento con cui tentare di cancellare voci libere, ma punta – se crede in un assetto bipolare – a costruire alleanze fondate sulla responsabilita’ di fronte al corpo elettorale.
È la grande storica battaglia storica - da sempre - della Destra italiana.
Ed è una battaglia di partecipazione.
In un clima in cui a farla da padrone sono gli inviti all’anti-politica e il processo (a volte decisamente giustificato) ad un sistema colpevole soprattutto di indecisione e che continua a vivere lontano dal popolo è indispensabile che gli organi di governo acquisiscano un rapporto più forte con la sovranità popolare, per far sì che il loro potere decisionale sia legittimato e possa dunque essere esercitato.
Basta con il tabù che dalla nascita della costituzione in poi ha mantenuto in vita una democrazia esclusivamente basata sul compromesso ideologico del parlamentarismo puro: è ora di restituire agli elettori la piena possibilità di decidere da chi, e non da cosa, vogliono essere governati.
Per questo riproponiamo il grande tema dell’elezione diretta popolare del Presidente della repubblica, che come nelle democrazie occidentali che dimostrano di funzionare, abbia il compito di indicare al Paese le linee guida e gli indirizzi politici, ponendosi a capo del Governo.
Non ci piacciono altre ipotesi sullo stile del premierato o del semi-presidenzialismo, anche se possono sicuramente essere considerate migliorative rispetto allo sfacelo attuale della democrazia parlamentare. Siamo convinti che anche in questo caso la politica abbia bisogno di una cura radicale che accompagni ad altre riforme da attuare (riduzione numero dei parlamentari, eliminazione del bicameralismo perfetto, riduzione per legge del numero di ministri e sottosegretari) la grande innovativa riforma presidenzialista.
Inoltre solo attraverso un sistema “presidenziale” forte si potrà continuare a parlare di Federalismo e devoluzione avendo garantiti i principi della Unità e Solidarietà nazionali.
Il dibattito sollevato dalla ogni riforma di legge elettorale sembra tralasciare un aspetto assolutamente fondamentale nella vita democratica della Nazione: quello garantito dall’articolo 49 della Costituzione che recita testualmente che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».
Questo principio risulta largamente disatteso nelle legislature che sono alle nostre spalle e merita di essere riportato alla luce proprio in alternativa o almeno in parallelo al rituale dibattito sul sistema elettorale.
Nessun sistema elettorale sarà mai considerato perfetto se non si risolverà alla radice il problema rappresentato dalla democrazia interna ai partiti, che il costituente affidò inascoltato al legislatore ordinario.
È da comprendere la scelta «morbida» della Carta costituzionale: chi ha avuto modo di leggerne gli atti ricorderà la forte opposizione all’introduzione di una ulteriore norma che obbligasse i partiti a rendere pubblici i bilanci. Ma erano gli anni dei finanziamenti incrociati e opposti, provenienti da oltrecortina e da oltreoceano, alle forze politiche della Prima Repubblica.
I tempi recenti, seguiti all’approvazione e all’applicazione della vigente legge elettorale (ma il tema delle oligarchie che decidono le candidature ha lo stesso difetto nei sistemi maggioritari), testimoniano eloquentemente la validità di quanto affermiamo.
L’ultima campagna elettorale, con la definizione delle cosiddette liste bloccate ha provocato autentiche lacerazioni nelle forze politiche.
Molte critiche hanno riguardato l’assenza di qualunque rapporto tra radicamento territoriale e liste elettorali e mancato coinvolgimento delle classi dirigenti locali dei partiti politici.Occorre riflettere sulle cause, non sugli effetti del problema. E la causa sta proprio nella mancata attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Accadeva lo stesso con i collegi del sistema maggioritario e con le cosiddette candidature catapultate nel territorio.
È evidente che non sono sufficienti le norme interne ai partiti che pur meritoriamente hanno dato vita a organismi di garanzia e di disciplina interni. Ma sono istituti che possono tutelare la lesione dei diritti degli iscritti nel momento in cui essi – come tutti sanno – sono nominati proprio da quanti dirigono le stesse forze politiche?
Se l’elezione o qualunque nomina dipendono dal vertice del partito e non dal cittadino o dalla democratica decisione degli iscritti al partito in cui si milita, sarà un tutt’uno mantenere fedeltà verso l’autorità nominante e non al mandato ricevuto.
È dunque il momento di passare dalla democrazia dei partiti alla democrazia della partecipazione!
I partiti restino lo strumento principale finalizzato al dispiegamento della sovranità popolare, ma il rischio di deriva oligarchica comporta il rischio dell’esatto contrario.
Ha scritto don Sturzo: «La democrazia parlamentare è inseparabile da partiti liberi, organizzati democraticamente, qualificati da idealità specifiche e chiari programmi, che consentono ai cittadini di concorrere attivamente alla determinazione della politica nazionale».
Va dunque rivitalizzato il patto tra cittadini e partiti. I primi finalmente sovrani, i secondi non più «arbitri del tutto arbitrari» della politica. Gli stessi statuti vanno resi pubblici, condizionando l’erogazione del finanziamento ai partiti al rispetto delle norme che liberamente e in ossequio alla legge si danno.Hanno ragione quanti sostengono che una democrazia senza partiti non è auspicabile. Ma proprio perché non avvenga l’opposto, ovvero partiti senza regole che negano la democrazia, è bene pensare a nuove forme di partecipazione, offrendo finalmente al singolo iscritto la possibilità di contare sulle scelte della struttura a cui liberamente aderisce.
La riforma della legge elettorale ha scatenato notevoli polemiche, soprattutto in merito alla presentazione di liste bloccate che impedivano agli elettori di scegliere chi volevano eleggere.
Noi ribadiamo che anche il sistema maggioritario uninominale già di fatto impediva questa scelta, e troppo spesso gli elettori si sono trovati a decidere seguendo la logica del “meno peggio”.
Proprio per questo ora è necessario ribadire un sacrosanto principio della convivenza politica: che il mandato parlamentare lo devono conferire in via esclusiva gli elettori e non le segreterie e le oligarchie di partito. Per questo vogliamo dire con forza che – seppure possa comportare rischi di “voti di scambio” e aumento dei costi per le campagne elettorali (cose tutte che però sono rimaste in vita anche dopo il ’92 con qualsiasi sistema elettorale…) – è obbligatoria la scelta radicale della reintroduzione della preferenza per le elezioni politiche.
UNA NUOVA ITALIA. PER DAVVERO: con la destra
Più dell’assenza di rappresentanza parlamentare, l’attuale fase di isolamento politico che, almeno a livello nazionale, La Destra sta attraversando rischia di tramutarsi in una strutturale dimensione extraparlamentare o, tutt’al più, civica del nostro Movimento. Abbiamo fin qui sostenuto che le elezioni di aprile non hanno né concluso la transizione verso una nuova Repubblica, né iniziato la trasformazione del nostro sistema in bi-partitico di tipo anglosassone o americano. Se così è, se cioè il nostro resta un sistema bipolare su coalizioni, occorre dunque chiedersi quale progetto debba darsi La Destra, per tentare di occupare lo spazio politico lasciato libero da Alleanza nazionale.
Un fatto è certo: non basta dire di incarnare i valori della Destra e di muoversi in linea di continuità con l’esperienza missina come ristrutturata a Fiuggi, per tentare di conquistare fette di elettorato. Non basta dire che altri hanno tradito, non basta evocare lo spettro del Partito popolare europeo. Oggi, il popolo non vota per un partito, ma per una credibile prospettiva di governo. Per questo nel nord del Paese chi non voleva riconoscersi nel Pdl ha privilegiato il voto alla Lega; per questo, ancora in questi giorni, fasce di delusi di Alleanza nazionale si orientano, nel Mezzogiorno, verso il movimento autonomista e meridionalista.
Il tema delle alleanze sarà oggetto di apposite iniziative del gruppo dirigente che uscira’ dal congresso nazionale. Tuttavia, abbiamo il dovere di dire che La Destra sarà lontana dall’idea del ritorno ad una cultura isolazionistica solo se saprà fino in fondo cogliere la sua natura di movimento di governo e non di estremo antagonismo.
Se la nascita del Partito della Libertà ha certamente catalizzato l’attenzione di una parte significativa dell’elettorato un tempo appannaggio di An, ormai non più legato da costrizioni ideologiche al pari della base di quel partito, è certamente vero che esistono fermenti civici e localistici, diremmo noi identitari, che possono essere intercettati da un progetto politico innovativo.
In campagna elettorale, tra le poche ben congeniate, abbiamo utilizzato la felice iperbole del Pdl come grande supermercato. Oggi possiamo dire, ma andrà meglio chiarito, che i grandi partiti rispondono a logiche globali. Sono multinazionali che creano tutt’al più indotti specifici.
A questa logica va contrapposta, come bene interpretato dalla Lega, l’immagine di un’altra concezione, potremmo dire glocale, secondo la quale l’antagonista del sistema globale è quello basato su identità, tradizione, radici.
E su queste nuove coordinate va costruito il progetto, attraverso il serrato confronto con l’associazionismo e il variegato mondo delle liste civiche.
La nuova Italia che abbiamo tratteggiato dovra’ vedere il protagonismo attivo di ciascun dirigente, amministratore, militante de La Destra. Nella cornice programmatica delineata dovranno trovare spazio le iniziative nel territorio, attraverso le piu’ ampie forme di partecipazione e di fantasia istituzionale, a partire dall’individuazione di precisi quesiti referendari, l’unico vero strumento a disposizione del popolo.
In sede nazionale, come in quelle locali, dovranno essere costituiti settori di riferimento per gli argomenti indicati e la riforma statutaria dovra’ indicare con chiarezza anche un modello di regionalizzazione, con gli ovvi limiti di confronto con la direzione nazionale. Ma anche questo sara’ un processo da affrontare con decisione per dare sempre piu’ spazio alla voce del territorio che non potra’ essere imbavagliata da un’informazione sempre piu’ asservita al potere politico dominante.
La Destra italiana dovra’ presentarsi come un adulto con un bambino nel cuore che guarda il mondo e ne rimane incantato, che scopre qualcosa di nuovo ogni giorno, che non obbedisce a regole nelle quali non crede, ma lotta per le sue idee e difende i suoi sogni, che non lascia che qualcun altro gli dica cosa deve diventare, ma che rispetta la diversità degli altri
La Destra dovrà e saprà aprirsi senza perdersi Il guerriero che crede nel suo cammino, non ha bisogno di dimostrare che quello degli altri è sbagliato.
Ha scritto Junger: “Se un uomo non ha una valida ragione per cui morire, non avrà nemmeno una valida ragione per cui vivere”.
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3 commenti:
"LA MOZIONE DI FRANCESCO STORACE"
è bella, lunga lunga e tosta.
"LA MOZIONE DI DANIELA SANTANCHE'"
è bella, corta corta e molle.
Sarà questione di gusto, ma io alla "mozione" della portavoce le darei volentieri un'occhiatina e possibilmente me la studierei attentamente steso su un morbido divano.
SOLITO....
NON DELUDERMI!!!
LA DESTRA' DEVE VIVERE E VIVRA'
IN UN UNICO PROGETTO CON
STORACE E BUONTEMPO
Ah Maurììììì, ma che deludertiiiii!!!
Da un po' di tempo, non ho più peli sulla lingua per cui io, a quella "mozione"(di lei), non solo le darei un'occhiatina veloce veloce, dalla A alla Z, ma ci metterei anche mano per rimaneggiarla in profondità.
Alla mia età l'eMOZIONI devono essere abbastanza brevi.
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