Anzio, città da radici profonde.

Anzio, città dalle radici profonde.
Nell'antichità Antium venne assorbita nello stato romano.
La città ospitò Cicerone quando, tornato dall'esilio, vi riorganizzò i resti delle sue biblioteche, desiderando metterli in un posto sicuro. I romani più eminenti vi costruirono bellissime ville in riva al mare. Gli imperatori della dinastia Giulio-Claudia la visitavano frequentemente e Mecenate vi possedeva una villa.
Ad Antium nacquero gli imperatori Caligola e Nerone.
Quest'ultimo fondò una colonia di veterani in città e costruì un nuovo porto, le cui rovine sono tuttora esistenti.
Nei primi del novecento, Anzio acquistò le connotazioni
di un elegante centro balneare, meta di soggiorno di alcune note famiglie dell'aristocrazia e dell'alta borghesia romane.

sabato 31 maggio 2008

da Quotidiano.net




REFERENDUM PROSTITUZIONE

Santanché: "Aboliamo la legge Merlin
Case chiuse? No, meglio le coop"

L'esponente de la Destra, a capo di un gruppo di sole donne, ha depositato in Cassazione un quesito referendario al fine di "liberare le donne dalla schiavitù". E' è nato anche un sito www.stradeprotette.com.




Roma, 28 maggio 2008 - Daniela SantanchèDaniela Santanchè ha salito le scale del Palazzaccio a Roma per andare a depositare nella cancelleria della corte di Cassazione un quesito referendario: abolire, parzialmente, la legge Merlin, "un'iniziativa coraggiosa, di civiltà che non vuole - dice lei - avere nulla di provocatorio, ma che riguarda le donne che devono essere liberate dalla schiavitù dello sfruttamento e la sicurezza dei cittadini, che debbono avere strade protette e sicure".

Il comitato promotore è composto di sole donne, ed è già questa la novità, tanto che in cancelleria hanno dovuto preparare nuovi tabulati perché erano tutti prestampati col 'signori'. La portavoce de La Destra precisa subito: "Sono contro le case chiuse, le case di prostituzione dello Stato, sarebbe una battaglia di retroguardia", e ipotizza, se del caso, più moderne "cooperative di donne".

In ogni caso "la legge Merlin ha più di 50 anni, va cambiata, non può essere che la prostituzione sia un reato. Basta con i tabù". Per chi vuole saperne di più è nato anche un sito www.stradeprotette.com. , dove sarà poi possibile firmare anche per il referendum; la raccolta firme partirà dopo il via libera della corte, dalle spiagge alle strade, assicura battagliera Santanché, che fa anche un appello bipartisan alle forze politiche, e soprattutto alle donne, di qualunque schieramento.


L'iniziativa è "culturale, prima che politica", vuole "spezzare i tabù, il fare finta che non c'è", sottolinea la Santanchè, che - a chi vuole fare ancora lo struzzo - ricorda: in Italia, dal mattino alla notte inoltrata, sono sulle strade 70mila prostitute e "ogni corpo di donna sulla strada fa a guadagnare al mese 5000-7000 euro ai maschi".

Ecco perché "serve una nuova regolamentazione della prostituzione, per restituire la libertà alle donne da questa schiavitù e per dare sicurezza ai cittadini". "Non si fa altro - incalza Santanché - che parlare di sicurezza e poi non si pensa al problema della prostituzione sulle strade. Il governo nel pacchetto sicurezza metta anche questo". Si rivolge anche al ministro dell'Interno Maroni, perché "parlare di sicurezza senza affrontare la prostituzione non ha alcun senso. Gli manderò il quesito per l'abolizione della Merlin; mi piacerebbe che il governo si impegnasse per fermare lo sfruttamento delle donne sulle strade".


Perché infatti, si chiedono Santanché e le donne del comitato promotore sul sito dedicato all'iniziativa deve essere ancora in vigore una normativa che "fa reato della prostituzione esercitata nel chiuso di un`abitazione e lascia invece campo libero alla prostituzione esercitata all`aperto? Anche la più sfacciata e invadente, quella che avvelena e degrada le nostre strade e più offende e preoccupa i cittadini?". E via dalle strade le donne, avranno la "possibilità di decidere il proprio destino, anche quello di cercare una "possibilità di riscatto".

GIUSTIZIA ? MHA!!!

Uno dei killer del Circeo e’ stato affidato ai servizi sociali
Gianni Guido fu condannato a 30 anni per l’omicidio di Rosaria Lopez e le violenze a Donatella Colasanti
Massacro del Circeo. Gianni Guido, uno dei killer condannato a 30 anni per l'omicidio di Rosaria Lopez e le violenze a Donatella Colasanti, dall'11 aprile è «affidato ai servizi sociali». A riportare la notizia e’ stato il giornale milanese “ Il Corriere della Sera” sottolineando che «Gianni Guido non è già più un detenuto. Dopo il...
[leggi l'articolo]

POVERO SINDACO.

MARETTA COMUNE DI ANZIO....???

DAL LINK QUI SOTTO LEGGETE L'ARTICOLO APPARSO IERI SU LATINA OGGI A FIRMA DI LAURA D'AMORE.


OGNI GIOCO E' BUONO PER ALZARE IL PREZZO!!!

http://www.dagolab.eu/public/LatinaOggi/Archivio/30_05_2008/pag16nettuno.pdf

E COME SI FA A COMMENTARE?


La fame nel mondo: occasione educativa

Rubo questa frase e l’immagine dal sito www.frangipane.it, perché è educativa e merita la divulgazione.

La_miglior_salsa_del_mondo_la_fame
LA MIGLIOR SALSA DEL MONDO…

E’ LA FAME!

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giovedì 29 maggio 2008

TG 5 DEL 29\05\2008 h 20.00


http://www.video.mediaset.it/video.html?sito=tg5&data=2008/05/29&id=27022&categoria=servizio&from=email


LEGGETE! LEGGETE! LEGGETE!



"Al Pigneto sono stato io. Non chiamatemi razzista"

Roma - L'uomo del raid del Pigneto, "l'italiano sulla cinquantina" cui la polizia cerca da cinque giorni di dare un volto, il più vecchio tra i mazzieri, il "Capo", arriva all'appuntamento ai tavolini di un bar che è notte. Ha i capelli brizzolati, gli occhi lucidi come di chi è in preda a una febbre. Allunga la mano in una stretta decisa che gli fa dondolare il ciondolo d'oro al polso.

"Eccome qua, io sarei il nazista che stanno a cercà da tutti i pizzi. Guarda qua. Guarda quanto sò nazista...". La mano sinistra solleva la manica destra del giubbetto di cotone verde che indossa, scoprendo la pelle. L'avambraccio è un unico, grande tatuaggio di Ernesto Che Guevara.

"Hai capito? Nazista a me? Io sono nato il primo maggio, il giorno della festa dei lavoratori e al nonno di mia moglie, nel ventennio, i fascisti fecero chiudere la panetteria al Pigneto perché non aveva preso la tessera". L'uomo ha 48 anni. Delle figlie ancora piccole. Una storia difficile di galera e di imputazioni per rapina. E, naturalmente, un nome. "Quello lo saprai molto presto. Il giorno che mi presento al magistrato, perché quel giorno il mio nome non sarà più un segreto. Mi presento, parola mia. La faccio finita cò 'sta storia. Ma ci voglio andare con le gambe mie a presentarmi. Nun me vojo fà beve (arrestare ndr.) a casa. Perciò, se proprio serve un nome a casaccio, scrivi Ernesto... ".

Indica la foto sulla prima pagina dell'edizione di Repubblica del 27 maggio. Quella scattata durante il raid con il telefono cellulare da uno dei testimoni dell'aggressione. "Ecco. Io sono questo qua. Questo cerchiato con il marsupio e la maglietta rossa, che si vede di spalle. La maglietta è una Lacoste. Adesso ti racconto davvero come è andata. Ti racconto la verità prima che mi si bevono. Perché la verità, come diceva il Che, è rivoluzionaria. La politica non c'entra un cazzo. Destra e sinistra si devono rassegnare. Devono fare pace con il cervello loro. Non c'entrano un cazzo le razze. Non c'entra - com'è che se dice? - la xenofobia. C'entra il rispetto. Io sono un figlio del Pigneto. Tutti sanno chi sono e perché ho fatto quello che ho fatto. Tutti. E per questo si sono stati tutti zitti con le guardie che mi stanno cercando. Perché mi vogliono bene. Perché mi rispettano. Perché hanno capito. Io ho sbagliato. E non devo e non voglio essere un esempio per nessuno. Ma per una volta in vita mia, ho sbagliato a fin di bene. E allora è giusto che il Pigneto veda scritta la verità. Se lo merita. E quella la posso raccontare solo io".

La "verità" di "Ernesto" ha un incipit. Giovedì 22 maggio. Quarantotto ore prima del raid. "A metà mattina, a una donna di cui non faccio il nome e a cui voglio bene come a me stesso, rubano il portafoglio in via Macerata. Non faceva che piangere. Un amico mio - un immigrato, pensa un po' - mi dice che se lo voglio ritrovare devo andare nel negozio di quell'infame bugiardo dell'indiano. In via Macerata. Perché il ladro sta lì. E' un marocchino, un tunisino, mi dice l'amico mio. Venerdì, verso mezzoggiorno, ci vado. Trovo questa merda di marocchino, o da dove cazzo viene, questo Mustafà, seduto davanti al negozio con una birra in mano. Una faccia brutta, cattiva, con una cicatrice. Mi fa cenno di entrare e nel negozio mi trovo lui, l'indiano bugiardo e un vecchio, un italiano. Il marocchino mi dice: "Tu passare oggi pomeriggio e trovare portafoglio". Io dico va bene e, te lo giuro, non mi incazzo, né strillo. Dico solo: "Dei soldi non me frega niente. Ma dei documenti sì". Ripasso il pomeriggio e quello mi dice: "Scusa. Non fatto in tempo. Torna domani". Io ripasso sabato mattina e quel Mustafà là, ridendo, sempre con quella cazzo di birra in mano, mi fa segno che i documenti l'ha buttati dentro una buca delle lettere. Allora non ci ho visto più. Mi è partita la brocca. Ho cominciato a strillare, dentro e fuori del negozio. In mezzo alla strada. E ho detto: "Se vedemo alle cinque. E se non salta fuori il portafoglio sfascio tutto"".

Alle 17 di sabato, dunque, arriva "Ernesto". Ma non da solo. "Eh no. Fermati. Fermati qui. Io arrivo da solo. Perché io voglio andare a gonfiare il marocchino da solo. Io quando devo fare a cazzotti non mi porto dietro nessuno. Il problema è che quando arrivo all'angolo con via Macerata non ti trovo una quindicina di ragazzi del quartiere? Tutti incazzati e bardati. Te l'ho detto. Mi vogliono bene. Avevano saputo della tarantella ed erano due giorni che sentivano questa storia di questo portafoglio. Evidentemente volevano starci pure loro e si sono presentati. Non l'ho mica chiamati o invitati".

"Ernesto" fa un cenno al cameriere. Chiede un whiskey di malto scozzese. Un "Oban". Strizza l'occhio. "Lo vedi questo? E' cresciuto con me al Pigneto". "Che stavo a dì? Ah sì, i pischelli. Io davvero non riesco a capire come si sono inventati la storia della svastica. Ma quale svastica? Io questi pischelli non li conosco personalmente, ma mi dicono che sono tutto tranne che fascisti. E, comunque svastiche non ce n'erano. Quei pischelli, per quanto ne so, si fanno il culo dalla mattina alla sera. E hanno solo un problema. Si sono rotti il cazzo di vedere la madre, la sorella o la nonna piangere la sera, perché qualche vigliacco gli ha sputato o gli ha fischiato dietro il culo. Te lo ripeto, io non l'ho chiamati. Io ce li ho trovati. E poi, scusa tanto sa, ma hai mai visto tu un raid nazista senza una scritta su un muro? Qualcuno si è chiesto perché, se era un raid, nessuno ha toccato per esempio i sette senegalesi che vendevano i cd taroccati in via Macerata? Lo vuoi sapere perché? Perché i senegalesi non avevano fatto niente. Perché sono amici. Perché portano rispetto e quando stava per cominciare il casino al negozio dell'indiano, gli ho detto di mettersi da una parte".

Forse "Ernesto" vuole solo coprire quei ragazzi. Forse la sua storia comincia a pattinare. "Aspetta. Io ti ripeto che i nomi di quei pischelli non li conosco e, comunque, se anche li conoscessi non li farei mai. Ma la dimostrazione che dico la verità sai qual è? E' che loro erano tutti coperti. Con i caschi, con i cappucci. E io invece ero l'unico a volto scoperto. Perché, come t'ho detto, io se devo andare a fare a cazzotti ci vado a mani nude, da solo e a viso scoperto. Te ne dico un'altra. La dimostrazione che sto dicendo la verità è che quando l'indiano di via Macerata mi vede e se la dà, dopo che gli ho sfasciato le vetrine, i pischelli si mettono a correre verso via Ascoli Piceno. Per me è finita lì. E non capisco quelli che vogliono fare. Allora li raggiungo a piedi e quando all'angolo tra via del Pigneto e via Ascoli Piceno vedo che stanno a fà un macello con i bengalesi, che si sono messi a sfasciare le macchine della gente del quartiere, cominciò a gridare. Grido: "A pezzi de merda che state a fa'? Annatevene da lì, a rincojoniti!". Per questo, come ho letto sui giornali, dicono che hanno sentito "il Capo" dare ordini in italiano. Ma quali ordini? Io li stavo a mannà a fanculo perché mi era presa paura. Avevo capito che casino stava montando".

Cosa aveva capito "Ernesto"? L'uomo butta giù il fondo di "Oban" rimasto nel bicchiere. Accende una Marlboro rossa. "Avevo capito che, senza volerlo, avevo slegato la bestia. Avevo capito che il veleno mio era il veleno di tutti. Sai perché penso che i pischelli sono andati dai bengalesi in via Ascoli Piceno? Perché quell'alimentari là, quello dove è andato a chiedere scusa Alemanno, due anni fa l'avevano chiuso per spaccio. Perché sotto il sacco dei ceci che dice di vendere, il bengalese ci teneva la droga. So che è andato assolto perché ha detto che la roba la nascondeva un marocchino. Sta di fatto che lì davanti è sempre un circo. Stanno sempre aperti. Anche alle cinque de mattina. Mi spieghi che cazzo si vendono?".

"Ernesto" chiede un altro whiskey. "La storia potrebbe finire qua. Ma non finisce qua". L'uomo, ora, ha voglia di raccontare chi è e come è cresciuto. "Perché tutto si deve sapere. Tutto. Perché poi, quando ti si bevono, i giornali scrivono un mucchio di cazzate". E' il quarto di cinque figli, "Ernesto". Suo padre è un carabiniere. Lo perde a 8 anni e finisce in collegio, perché a casa, al Pigneto, non si riesce a mettere insieme il pranzo con la cena. Quando esce dall'istituto, comincia a rubare. "Per fame. Ho sempre rubato solo per fame. E mai al Pigneto". A 24 anni perde anche la madre. Comincia a entrare e uscire di galera. Regina Coeli, Sollicciano, "dove a Pacciani, j'ho fatto 'na faccia tanto. Sto schifoso... ". "Sempre accusato di reati contro lo Stato... ". Contro lo Stato? "Sì, rapine in banca. Perché, le banche non sono dello Stato?". Ride, per la prima volta. Poi si fa di nuovo cupo.

"Il Pigneto era bellissimo. Da ragazzino giocavo a ruzzichella dove adesso ci stà quello schifo di isola pedonale. Dove adesso vomitano e pisciano fino alle cinque de mattina, ci stava il cocomeraro e quello che vendeva le cozze col limone. Posso sopportare che mentre vado al mercato a comprare il pesce per mia figlia che è una ragazzina, lei deve vedere uno che se tira fuori l'uccello e sui banchi del mercato ci piscia? Eh? Lo posso sopportare?". Il colore della pelle, dice, non c'entra. "Io ho litigato con tutti quelli che non portano rispetto alla gente del Pigneto. Bianchi e neri. Io ho fatto casino qualche settimana fa al pub di via Fanfulla, perché quattro stronzetti italiani non mi facevano rientrare a casa con le bambine e quando ho chiesto di spostare una macchina in doppia fila, mi hanno imbruttito dicendo: "Perché, se no che succede?". "Succede che te gonfio", ho detto. E si sono spostati. Ho litigato con degli algerini sotto casa, che mi stavano fregando il motorino. Ne ho appicciati al muro un paio e da allora sai come mi chiamano? "Grande mujaheddin. Grande talibano". Beh, l'altra sera m'hanno riportato le chiavi della macchina che mi ero dimenticato sul cofano. Hai capito, sì? Io non ce l'ho con nessuno. Io voglio bene ai neri e ai bianchi che rispettano gli altri. Che rispettano il Pigneto, che insieme alla mia famiglia è l'unica cosa che ho. Io sono cresciuto al bar Necci, hai presente? Sai, no? Quello del film di Pasolini "Accattone". Vai a chiedere di me lì. Vedi che ti dicono. Vai a chiede di me allo stagnaro di via Ascoli, o al bar di fronte. Vedi che dicono. Io ci sono poche persone che non rispetto. I bugiardi, i laidi, gli ipocriti, le pecore. E ti racconto ancora una cosa che mi devi promettere di scrivere".

"Ernesto" tira fuori l'ultima sigaretta del pacchetto di Marlboro, che poi accartoccia come carta velina. "Pifano. Daniele Pifano, hai presente? Collettivo di via dei Volsci. Autonomia, anni '70 e compagnia cantante. Beh, stai a sentire. Viene a vivere al Pigneto e due anni fa becca un fascistello che gli rompe il cazzo. Ti dico: questo qua lo umilia e gli distrugge la bici davanti a tutti. Io mi metto in mezzo e da allora, quando vedono Pifano, si scansano. E lui che fa? Sabato, dieci minuti dopo il casino, si mette con i centri sociali nell'isola pedonale a strillare che sono arrivati i nazisti al Pigneto. Ma come si fa? Ma che uomo sei? Ma che dignità c'hai a giocare sulla pelle del Pigneto e del sottoscritto? L'altro giorno ho provato a chiamare anche Luxuria, quella di Rifondazione. Gli ho detto: "Dovemo parlà". E lui: "Sì ma al telefono perché sono a Cosenza per una riunione". Allora io dico. Tu starai pure a Cosenza, ma al Pigneto, che è dove vivi pure tu, chi ci pensa?".

Chi ci pensa? "Ernesto" ride. "A pagare i wiskey ci pensi tu, perché io stò in bianco e devo pure pensare a trovare un avvocato bravo. Poi, quando sarà finita tutta questa storia, offrirò io. Ora vado. Mi raccomando. La verità. Io non sono un esempio per nessuno. Ma stavolta, davanti alle mie figlie, voglio che sia diverso. Non come le altre volte che m'hanno visto andare in Centrale o carcerato. Stavolta l'ho fatto per loro. E per il Pigneto. In fondo, non ho ammazzato nessuno. E tutto 'sto casino, non l'ho armato io"

CARLO BONINI fonte www.repubblica.it

FRITTATA !!!


Fatela finita!!!


E ORA CHE IL NAZISTA NEOFASCISTA XENOFOBO CHE CON LE SVASTICHE IN MANO (COSI' HA DETTO VELTRONI) CHE AVEVA COMPIUTO IL RAID AL PIGNETO IN STILE SQUADRACCE... SI E' ORGOGLIOSAMENTE E STIZZOSAMENTE DICHIARATO DI SINISTRA CON TANTO DI TATUAGGIO DI GUEVARA SUL BRACCIO,
( E NON E' NEANCHE UN ...PISCHELLETTO!!! 48 ANNI) COSA SCRIVERANNO INDIGNATI I GIORNALI PER UNA SETTIMANA?

FORSE SAREBBE IL CASO DI DARSI UNA CALMATA E ANDARE A GUARDARE I PROBLEMI VERI DEL PAESE!
QUESTO CLIMA ALIMENTA INTOLLERANZA, FATELA FINITA, RIPETO NON SI STRUMENTALIZZI, PREVENIRE E' MEGLIO CHE CURARE!!!

Maurizio Brugiatelli

mercoledì 28 maggio 2008

Domani mattina Storace su la7


Appuntamenti

STORACE A OMNIBUS (LA7)

Il segretario nazionale de La Destra Francesco Storace domani mattina, 29 maggio, sarà ospite della trasmissione Omnibus di La7 per discutere con altri interlocutori parlamentari ed extraparlamentari dei primi 30 giorni trascorsi dall’insediamento del Parlamento a seguito delle elezioni politiche 2008. Appuntamento a partire dalle ore 7,45. In studio saranno presenti Paolo Cento (Verdi), Maurizio Gasparri (Pdl), Francesco Boccia (Pd) e il giornalista della Stampa Federico Geremicca.

da www.storace.it

SCANDALOSO CENSURARE LE FOIBE

28 Maggio 2008

Vi proponiamo l’intervista a Francesco Storace apparsa sul quotidiano “Il Tempo”: il-tempo-intervista-a-storace.pdf

da www.storace.it


UNIVERSITA’: ZONA FRANCA

27 Maggio 2008

di Francesco Storace


C’è un angolo importante di Roma che non si chiama Pigneto, un luogo dove non ci sono le baracche rom, e che dovrebbe rappresentare il sapere, la cultura, la tolleranza. E’ l’università La Sapienza dove non ha potuto parlare il Papa e dove si continua a negare diritto di parola. Non credo di essere molto simpatico all’onorevole Roberto Fiore, ma il veto posto allo svolgimento di un convegno sulle foibe organizzato nell’ateneo romano da Forza Nuova mi indigna e molto. Credo che il sindaco di Roma debba spendere una parola: l’università non deve essere zona franca. E’ il caso di proporre la convocazione di una seduta del consiglio comunale alla Sapienza, magari proprio sul tema della libertà e del rispetto delle idee altrui. O ci sarebbe problema di ordine pubblico anche per i consiglieri comunali?

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SAPIENZA SCHIUMA LA DESTRA : MA PICCHIANO SEMPRE E SOLO QUELLI DI DESTRA?

“Fermo restando che qualsivoglia gesto di violenza va condannato, mi domando: c’è una rissa tra studenti ma a picchiare sono sempre e solo quelli di destra?”Questo è quanto dichiara il portavoce romano Fabio Sabbatani Schiuma per il quale “è odioso quel clima che tende a giustificare qualsiasi comportamento di chi ad esempio crede che l’Università sia di proprietà di chi non fa parlare il Santo Padre e di chi non permette ad un euro parlamentare di incontrare gli studenti”
“Resta fatto - conclude Schiuma- che anche nel caso del Pigneto non si aspetta altro che dare la caccia al fascista e che debbano essere solo e sempre ragazzi di destra quelli che aggrediscono”.


ATTENZIONE ATTENZIONE


RIFLESSIONI

Spranghe all'università, Fascisti- Comunisti.
I benpensanti ne hanno di pane da inzuppare e tutti lì a strumentalizzare per biechi interessi personali, editoriali, elettorali, un motivo per strumentalizzare c'è sempre!
Chi come me gli anni 70 li ha vissuti subiti e sotto certi versi "interpretati" si accorgerà che sembra un film già visto e molto pericoloso. Aver tenuto fuori dal parlamento e dal senato la storia e i valori di milioni di italiani, non credo sia stata una buona scelta, il tentativo di omogenizzare tutti e tutto non ha mai funzionato ce lo insegna la storia. C'è una vecchia canzone intitolata "Dont' worry be happy" (non preoccuparti sii felice) i giovani non ci sono cascati allora e non intendono cascarci oggi!
I giovani si preoccupano perché pensano, ma poi c'è subito qualcuno che cerca di strumentalizzare il loro pensiero, essendo rimasti al margine della politica, o meglio dal centro del potere, perché se non ricordo male il significato della parola politica dovrebbe essere l'arte di governare la città e non "l'arte di manipolare il popolo per fini personali"
Inviterei allora a fare un'attenta riflessione a tutti noi, l'estremismo che fino a pochi mesi fa era espresso nelle curve di alcune squadre di calcio, da alcuni facinorosi che si stava cercando di individuare e isolare, oggi cercano visibilità nel tempio del sapere.
Chi è vicino a i giovani e ha vissuto gli anni di piombo sempre più spesso si sente interrogato su quegli anni, non più per conoscere ma per studiare...
Se a questo uniamo la voglia di protagonismo, già naturale in quest'era mediatica a tutti i costi, esasperata da chi vede cancellato anche nelle forme di solo pensiero le proprie idee, qualche burattinaio, e il nostro paese ne è pieno, ha terreno fertile per alimentare l'odio che inevitabilmente sfocia alla lotta armata.
Prevedere è meglio che curare.

Maurizio Brugiatelli

sabato 24 maggio 2008

Riflessioni


RIFLESSIONI


La sbornia elettorale finirà con le ferie estive. Verso il 15 di settembre, quando avremo fatto il bilancio di chi è andato in ferie e per quanto, sopratutto: tra chi aveva intenzione di far finta di riposarsi al mare e chi, a conti fatti, non ha neanche i soldi per l’ombrellone. Quando, nonostante l’estate, tra rincari e presunti benefici berlusconiani, guardandoci allo specchio: noteremo che le chiappe sono ancora chiare; solo in quel momento ci si renderà conto che le chiacchiere stanno a zero. Il Congresso a fine autunno è un buon periodo:per dare la sveglia ai rinco……ti.
Buona giornata a Noi e pessima agli altri.

NO ALLE OLIMPIADI DI SANGUE

Foto Il Dalai lama teme un ulteriore scoppio di violenze in Tibet

Il Dalai lama teme un ulteriore scoppio di violenze in Tibet



Londra, 23 mag.- Nel corso di una lunga intervista concessa oggi all’agenzia di stampa France press subito dopo il suo incontro con il primo ministro britannico Gordon Brown, il Dalai Lama ha ammesso di temere lo scoppio di ulteriori violenze se i colloqui tra la Cina ed esponenti tibetani non dovessero andare a buon fine. Secondo la massima autorità tibetana potrebbero verificarsi “non soltanto gravi manifestazioni, ma anche violenze. Altre sofferenze, altra tristezza.”

Un colloquio “informale” tra le autorità cinesi e tibetane ha avuto luogo nel sud della Cina nei primi giorni di maggio. Altri incontri sono previsti per il mese di giugno. Secondo i tibetani in esilio le vittime della repressione cinese alle sommosse di marzo sarebbero più di 200, un migliaio i feriti. Sempre secondo le stesse fonti più di 5 mila sarebbero state arrestate.

venerdì 23 maggio 2008

da www.storace.it

GIORGIO ALMIRANTE, RICORDO DI UN GRANDE UOMO

22 Maggio 2008

di Francesco Storace

Vent’anni sono passati dalla morte di un grande uomo che ha contrassegnato larga parte della nostra storia politica: Giorgio Almirante. E a lui, ancora oggi, alla sua memoria, ci inchiniamo con profondo rispetto di militanti politici. Per Almirante rischiammo la vita e molti nostri ragazzi – quelli sì, nostri camerati – la persero, vittime dell’odio rosso. Almirante fu anche geniale precursore di un modello di democrazia diretta che oggi vediamo rappresentata dall’elezione popolare dei sindaci, dei presidenti delle province e delle regioni. Fu inguaribile sognatore della stagione della pacificazione nazionale. Fu profeta inascoltato di un’identità che si richiamava all’affermazione di valori legati alla tradizione nazionale. Creò la destra italiana e la accompagnò per mano, amato dalla sua gente. In questa politica tutta melassa credo si troverebbe assai male. Anche noi, in un mondo che i leaders politici li detesta e non li ama più. Giorgio, noi ti amiamo ancora.

giovedì 22 maggio 2008

da www.storace.it


QUESTO FINTO BUONISMO!!!


di Daniela Santanchè

Tutto purtroppo come previsto: ricominciamo con le sanatorie mascherate e con Veltrusconi a Palazzo Chigi. Sconcerta davvero che il primo atto di un ministro leghista sulla scia di una falsa solidarietà sia una sanatoria sia pure giustificata da una emergenza che interessa tante famiglie italiane. La sanatoria sulle badanti fatta in fretta e furia e senza nessuna certezza non è altro che il primo condono che continuerà ad aprire le porte a milioni di disperati europei ed extraeuropei che considerano il nostro paese giustamente il ventre molle dell’Europa. Dal punto di vista umanitario e cristiano che differenza c’è per la dignità dell’uomo tra la badante che assiste i nostri nonni e l’extracomunitario che non delinque ed è costretto, come uno schiavo, a raccogliere i pomodori che vanno sulle nostre tavole per 18 ore al giorno? Sull’immigrazione non si può usare il bastone e la carota perchè questo ci rende indifesi davanti alla criminalità organizzata che troverà nelle pieghe di ogni sanatoria il modo per approfittarne. Piaccia o no solo rimpatriando tutti i clandestini si potrà finalmente scrivere una nuova pagina di legalità per l’immigrazione così come ho sempre sollecitato. Questo finto buonismo si inserisce in quella grande politica dell’inciucio che La Destra ha sempre denunciato e che il Pdl ha sempre smentito ed oggi invece applica con cinismo.

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RIFLESSIONI


E’ incredibile, il primo passo per evitare l’immigrazione clandestina sarebbe quello di dare un chiaro messaggio: l’Italia, contrariamente al passato, non effettuerà più sanatorie, quindi è inutile approdare sulle nostre coste sperando in un provvedimento di regolarizzazione successivo, perchè da adesso in poi non ve ne saranno più e si va incontro solamente ad una espulsione certa.
E invece di comunicare rigore e certezze, voilà un mini condono, giusto per far capire che da noi cambiano i governi ma tutto sommato non cambia niente.


martedì 20 maggio 2008

NO ALLE OLIMPIADI DI SANGUE

Toni Brandi
IL MONDO NON PUO' IGNORARE L'ESISTENZA DEI LOAGAI




laogai cinesi, condannato a morte Un condannato a morte qualche istante prima dell'esecuzione. Con queste parole l’onorevole Nancy Pelosi, capogruppo del Partito Democratico al Congresso USA, ha aperto la Conferenza Internazionale su «I GULAG E I LAOGAI» che si è svolta a Washington il 4 maggio 2006.
La Conferenza è stata organizzata dalla FONDAZIONE LAOGAI e patrocinata dal Comitato dei Diritti Umani del Congresso USA, dall’Organizzazione «Freedom House» e dal Memoriale Robert F. Kennedy.
L’onorevole Pelosi ha anche ricordato l’approvazione della Risoluzione Wolf, da parte del Congresso USA, con una maggioranza di 413 voti a 1, lo scorso 16 dicembre.
La Risoluzione Wolf denuncia e condanna il sistema repressivo dei LAOGAI.
I LAOGAI sono in Cina i campi di concentramento - almeno mille, oggi - dove sono costretti a lavorare, in condizioni disumane, milioni di uomini, donne e bambini a vantaggio del Partito Comunista Cinese e di numerose multinazionali che investono o producono in Cina.
Nel suo intervento, Harry Wu, presidente della FONDAZIONE LAOGAI, ha ricordato al pubblico presente che, mentre i lager nazisti furono chiusi nel 1945 ed i GULAG sovietici sono in disuso dagli anni ‘90, i LAOGAI cinesi sono tuttora operanti.
Ha spiegato Harry Wu, che «i LAOGAI, creati da Mao Zedong nel 1950, furono organizzati e strutturati sul modello dei GULAG sovietici».
Il campo-prigione di Qincheng fu uno dei primi progettati e venne disegnato, costruito e finanziato con l’aiuto dell’Unione Sovietica.
«Almeno 50 milioni di cinesi hanno sofferto nei LAOGAI e milioni vi soffrono ancora oggi».

Harry Wu, nato a Shangai nel 1937, è stato detenuto in diversi LAOGAI per 19 anni.
Emigrato negli USA nel 1985, ha fondato la Fondazione di ricerca sui LAOGAI (Laogai Research Foundation) nel 1992 ed ha deciso di consacrare la sua vita alla ricerca ed alla diffusione di notizie sui LAOGAI e sulla continua violazione dei diritti umani in Cina.
La vita nei LAOGAI è tuttora orribile.
I pestaggi e le torture sono all’ordine del giorno.
Frequenti le scariche elettriche e la sospensione per le braccia.
Ricordiamo che Manfred Nowak, rappresentante della Commissione contro la tortura delle Nazioni Unite, che ispezionò, nel dicembre del 2005, alcune prigioni in Cina, denuncia il continuo abuso della tortura chiedendo al governo di Pechino anche di eliminare le esecuzioni capitali per crimini non violenti o per ragioni economiche.
Nel suo rapporto, del 10 marzo 2006, denuncia anche le confessioni estorte con la tortura.
Storici, scrittori ed esperti sono intervenuti durante la Conferenza su «I GULAG e i LAOGAI».

Lee Edwards, presidente della Fondazione delle vittime del comunismo, ha annunciato che la costruzione del monumento alle vittime del comunismo, stimate in circa 200 milioni, sarà iniziata questa estate a Washington, «perchè la verità passata e presente sui crimini del comunismo va raccontata e ricordata».
Joel Kotek, autore del libro «Il Secolo dei Campi», ha denunciato i LAOGAI.
La scrittrice e giornalista Anne Applebaum ha informato i presenti sulla struttura e la storia dei GULAG.
Dopo il 1989 gli archivi di Mosca hanno, infatti, fornito molte informazioni sul numero dei campi (476 sistemi di campi), sul numero dei detenuti dei GULAG (circa 29-30 milioni) e sul fatto che numerosi campi nazionalsocialisati, come Buchenwald e Sachsenhausen, furono riaperti dai sovietici ed usati per imprigionare oppositori politici e religiosi di numerose nazionalità.
Molte sono le somiglianze tra i GULAG ed i LAOGAI come la tortura, la denuncia degli amici, il lavoro forzato ed il ricatto del cibo per costringere i detenuti al lavoro, ha osservato lo storico Dieter Heinzig.
Secondo lo stesso oratore, la principale differenza tra i GULAG ed i LAOGAI e’ la «riforma del pensiero» ossia il sistematico lavaggio del cervello del detenuto nei LAOGAI, sistema ideato da Mao Zedong già nel 1937.
La «riforma del pensiero» si attua mediante l’indottrinamento politico quotidiano e mediante l’autocritica.
«Questa autocritica» ha spiegato Dieter Heinzig, «ha luogo davanti ai sorveglianti ed agli altri detenuti ed è finalizzata a riformare la personalità di chi si auto-accusa».
Si tratta di una vera e propria «riprogrammazione del cervello» ha precisato, durante il dibattito, Harry Wu. Innanzitutto si devono elencare ed analizzare le proprie colpe.
Successivamente ci si deve accusare pubblicamente di averle commesse, procedendo alla riforma della propria personalità, per diventare una «nuova persona socialista».


Oltre alla stampa, ricercatori, collaboratori ed amici della Fondazione, al Convegno erano presenti numerosi sopravvissuti dei LAOGAI.
Palden Gyatso, lama tibetano, che ha trascorso 33 anni nei LAOGAI.
Rebya Kadeer, musulmana uighura dello Xinjiang, imprigionata per 6 anni, che ha raccontato le sofferenze e le persecuzioni contro i musulmani uighuri.
Molto commovente è stato l’intervento della religiosa tibetana Ama Adhe, detenuta nei LAOGAI per 27 anni.
I crimini commessi contro il popolo tibetano sono orrendi.
Migliaia di monasteri tibetani sono stati distrutti e di centomila monaci ne rimangono seimila.
«Il regime comunista cadrà!» ha gridato Lu Decheng, uno degli studenti di piazza Tianamen che ha passato quasi dieci anni nei LAOGAI, fino al 1998.
Solo recentemente Lu e’ riuscito, anche grazie al governo tailandese, ad espatriare in Canada.
Xu Wenli invece è stato imprigionato nei campi di lavoro forzato per 16 anni, per avere cercato di organizzare il Partito Democratico Cinese.
Molto determinato ed impressionante l’intervento di Wu Yashan, nato in Manciuria ed ex soldato dell’Armata Popolare Cinese. Ingiustamente accusato di essere «di destra» fu imprigionato nei LAOGAI per quasi 20 anni.


Harry Wu ha infine reso omaggio a tutte quelle persone che ancora oggi rischiano la vita per ricercare informazioni e notizie sui detenuti ed i prodotti dei LAOGAI.
Alla conclusione della conferenza è intervenuta Jeane Kirkpatrick, ex ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, che ha incoraggiato tutti i presenti a continuare la battaglia per la libertà contro il comunismo che miete vittime, incessantemente.
La tragedia dei LAOGAI e’ attuale!
I LAOGAI sono operativi oggi!
Questi campi di lavoro forzato coprono ogni settore merceologico ed incrementano la loro produzione a ritmi esponenziali, soprattutto, nell’esportazione.
Si può ragionevolmente ritenere, quindi, che la tanto decantata «competitività cinese» nasce dal lavoro forzato.
Inoltre, i LAOGAI sono solo un particolare dell’attuale realtà cinese e della «pedagogia del terrore», coperta da «segreto di Stato», che, in Cina, ancora oggi, si pratica.
Decine di migliaia di esecuzioni di massa davanti a folle appositamente riunite.
Migliaia di organi espiantati dai condannati a morte e venduti con alti profitti.
Collagene preso dalla pelle dei morti per produrre cosmetici.
Decine di migliaia di aborti e sterilizzazioni forzate.
Persecuzione sistematica contro i credenti di tutte le religioni e abuso della psichiatria a scopo repressivo politico.
Queste sono le realtà della Cina oscurate e/o rimosse.
Se ne parla poco per non disturbare i commerci internazionali.
Parliamone!


Toni Brandi
coordinatore nazionale Laogai Research Foundation

NO ALLE OLIMPIADI DI SANGUE


Chi fa affari con il regime birmano. Solo gli Usa rispettano l'embargo, la Cina è il maggior fornitore di armi

CARLA RESCHIA

TORINO
Chi fa affari con la Birmania? Praticamente tutti, in un modo o nell'altro. Gli unici a rispettare in modo rigoroso l'embargo contro la giunta militare del Myanmar sono gli Stati Uniti. Peraltro assai criticati per questo in patria da diversi analisti, sia sotto il punto di vista economico, sia sotto il profilo strategico perché la loro assenza lascia campo libero alla Cina. Cina che in Myanmar fa, ormai da decenni affari d'oro. Ma sono in tanti, anche in questi giorni di proteste indignate, ad accorrere alla corte dei generali. Ecco, senza pretese di completezza un piccolo elenco degli affari in corso.
INDIA
Il ministro indiano per il Petrolio Murli Deora ha appena siglato un accordo da 150 milioni di dollari per ricerche di gas naturale in Birmania tra la OVL (ONGC Videsh Limited) e la MOGE (Burma's Myanmar Oil and Gas Enterprise) . Le ingenti riserve di gas naturale che si trovano nella provincia occidentale di Arakan e nella zona marina costiera antistante, stimate in circa 85 miliardi di metri cubi, sono una risorsa più che appetibile per l'India, affamata di energia. Nel suo sforzo di avvicinamento al Paese l'India sta costruendo infrastrutture come porti,linee ferroviarie e strade nel Paese, in competizione con il partner tradizionale del regime birmano, la Cina.
EUROPA
Secondo un rapporto diffuso da un gruppo di ong europee e internazionali, tra cui Rete Disarmo, Saferworld e Amnesty International, l' Advanced Light Helicopter, un elicottero d'attacco prodotto in India e venduto alla Birmania, è realizzato con componenti essenziali di provenienza europea forniti da Belgio, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Svezia. Dal 1988 l'Unione europea ha vietato la vendita di armi alla Birmania per protestare contro la dittatura militare.
A parte questo divieto formale, non c'è di fato alcun impedimento per le aziende europee che vogliano fare affari con la Birmania. In proposito c'è solo una posizione comune,adottata nel 1996 che però non prevede alcuna misura coercitiva. In base ad essa conti aperti dal regime presso le banche europee avrebbero dovuto essere congelati, ma questo non è mai stato fatto. Così, gli investimenti europei in Birmania nell'ultimo decennio sono cresciuti, soprattutto nel settore dell'energia. Secondo stime del FDI (Foreign Direct Investment).
Nel 1999 l'Unione europea figurava nel 43% di tutti gli investimenti effettuati in Birmania e nel 2000 questa percentuale era salita al 71% Nel complesso tra il 1988 e il 2002 in Birmania ci sono stati investimenti europei per almeno 4 miliardi di dollari. Secondo un elenco compilato dalla Global Unions in Birmania operano 104 imprese europee.
FRANCIA
La Total, presente in Birmania dal 1992, gestisce importanti giacimenti di gas naturale nel campo di Yadana nel sud del Paese e ha prodotto nel 2006, 17,4 milioni di metri cubi di gas al giorno destinati ad alimentare le centrali elettriche della Thailandia. Total, che è stata spesso accusata negli ultimi anni di sfruttamento dei lavoratori costretti a «lavori forzati» prossimamente si dovrà difendere dall'accusa di «schiavismo» davanti alla giustizia belga.
CINA
La Cina è il maggior fornitore di armi della Birmania. Il commercio fra i due Paesi è salito nel 2006 a 146 miliardi di dollari, più 20%rispetto al 2005. La Cina ha costruito nel Paese ponti, centrali elettriche, stadi e fabbriche, sfruttando in cambio energia e materie prime. L'export dalla Cina alla Birmania è cresciuto del 50% nei primi sette mesi dell'anno, per un totale di .964 milioni di dollari. Secondo i dati di EarthRights International, nell'ultimo decennio 26 multinazionali cinesi hanno sviluppato grandi progetti in Birmania. Tra questi, la costruzione di un oleodotto e un gasdotto di 2.380km dalla provincia di Arakan allo Yunnan. La Cina ha fornito alla Birmania armamenti per due miliardi di dollari, rendendola così la seconda potenza militare del Sudest asiatico dopo il Vietnam, in termini di capacità, anche se molto più sofisticata. In 2003, la Cina ha dato assistenza economica alla Birmania per 200 milioni di dollari.
Ma la parte più importante del legame fra i due Paesi non risultata dalle statistiche e riguarda l'immigrazione di imprenditori cinesi: Mandalay, la culla della cultura birmana è, al 20% popolata da emigrati provenienti dallo Yunnan, Lascio, il centro più importante del Nord è al 50% cinese.
La Cina sta anche progettando la costruzione di quattro grandi dighe sul fiume Salween, nell'Est brimano. Oltre 100 mila abitanti delle zone tribali, Karen, Shan e Karenni verranno evacuati e la sopravvivenza stessa di un piccolo gruppo etnico, gli Yntalai, circa mille persone, è a rischio. Le dighe forniranno oltre 16 mila megawatt di energia che verranno vendute, fra gli altri, alla Thailandia. Saranno realizzate dalla compagnia statale cinese Sinohydro in collaborazione con l'omologa thailandese EGAT.
RUSSIA
La Russia ha stretto un accordo per la costruzione di un centro di ricerche nucleari in Birmania. Comprenderà un reattore ad acqua leggera da 10 MW e le attrezzature necessarie alla lavorazione e allo stoccaggio delle scorie oltre a un laboratorio medico per la produzione di isotopi. Mosca provvederà all'addestramento di 350 specialisti addetti all'impianto.
NARCOTRAFFICO
La Birmania è il secondo produttore mondiale di oppio dopo l'Afghanistan e fornisce l'8% della materia prima. Produce inoltre una quantità di sostanze stupefacenti destinate al mercato illegale, in particolare anfetamine.

NO ALLE OLIMPIADI DI SANGUE

Cina è il paese con il maggior numero di condannati a morte, anche se mancano statistiche ufficiali in materia. Tra i 65 reati figurano l'omicidio, il traffico di droga, reati economici, politici, d'opinione, la pirateria informatica e l’uccisione di animali protetti.

Vengono spesso organizzate manifestazioni di massa per la lettura della sentenza di morte, e l'esecuzione viene compiuta subito dopo: i condannati vengono mostrati al pubblico con la testa reclinata, le mani legate dietro la schiena e un cartello con il nome e l'indicazione dei crimini commessi legato al collo. Molti trascorrono il periodo che va dalla condanna all'esecuzione ammanettati e coi ferri alle caviglie. Gli organi del condannato vengono quasi sempre espiantati, ma senza chiedere il consenso alla famiglia.

Ecco alcuni reati che possono costare lo condanna a morte.

  • Allevamento illegale di bestiame

  • Omicidio

  • Tentato omicidio

  • Omicidio colposo

  • Uccisione di una tigre

  • Rapina e rapina a mano armata

  • Stupro

  • Ferimento

  • Furto e furto ripetuto

  • Rapimento

  • Traffico di donne o bambini

  • Organizzazione della prostituzione

  • Organizzazione di spettacoli pornografici

  • Pubblicazione di materiale pornografico

  • Atti di teppismo

  • Disturbo dell’ordine pubblico

  • Distruzione o danneggiamento
    della proprietà pubblica o privata

  • Sabotaggio controrivoluzionario

  • Incendio

  • Traffico e spaccio di droga

  • Corruzione

  • Truffa

  • Concussione

  • Frode

  • Usura

  • Contraffazione

  • Rivendita di ricevute Iva

  • Evasione fiscale

  • Furto o fabbricazione illegale di armi

  • Possesso o vendita illegali di armi
    e munizioni

  • Furto o contrabbando di tesori nazionali
    e reliquie culturali

  • Spaccio di denaro falso

  • Ricatto.

QUANDO IL DENARO VALE PIU' DELLA VITA


CHI SA E NON LO DENUNCIA E' COMPLICE
Una brutale repressione della inerme popolazione laica e monastica del Tibet è in corso. E’ una tragedia che si sta consumando nel silenzio e nell’oscurità: non filtrano notizie dirette, è assolutamente impedito l’invio all’estero delle immagini di queste inaudite violazioni dei diritti umani da parte del governo cinese.
La Comunità Internazionale non può rimanere passiva di fronte a questo bagno di sangue e al genocidio culturale di una popolazione la cui unica colpa è quella di chiedere libertà religiosa e il rispetto delle proprie millenarie pacifiche tradizioni.
CHIEDIAMO
>al governo cinese di porre subito fine a qualunque forma di violenza e repressione in Tibet e di ripristinare tutti i canali di comunicazione che sono stati interrotti;
>al Presidente del Consiglio On.le Romano Prodi
( o chi x lui) al Ministro degli Esteri On.le Massimo D’Alema di adoperarsi concretamente affinché il Consiglio di Sicurezza dell’ONU – di cui il nostro paese è membro – chieda immediatamente al Governo di Pechino di autorizzare l’ingresso a Lhasa e in Tibet di una Missione di Osservatori Internazionali che possa indagare, informare e intervenire sulle attuali violazioni dei diritti dell’uomo, tentando di favorire l’apertura di un dialogo per una soluzione pacifica del conflitto;
- a Sua Santità Papa Benedetto XVI di pronunciarsi pubblicamente in difesa dei diritti umani in Tibet.
Firma l’appello per il Tibet sui siti
www.artedellafelicita.it www.modernissimo.it e fallo circolare.
Dal blog di Beppe Grillo :
L’Italia non deve partecipare alle Olimpiadi di Pechino. I Giochi Olimpici sono bagnati del sangue dei tibetani. A Lhasa sono morte almeno 100 persone, alcune bruciate vive. Protestavano nell’anniversario della sanguinosa repressione cinese del 1959.
Il buddismo non è una religione di conquista, non ha causato stragi secolari come le religioni monoteiste. Il buddista può essere ucciso, ma non uccide. Il governo cinese minaccia nuove stragi se i tibetani non cesseranno le manifestazioni entro lunedì. Li minaccia a casa loro, in una nazione occupata. Minaccia un popolo costretto in gran parte all’esilio. Di cui ha distrutto i monasteri. Di cui vorrebbe cancellare l’identità con una immigrazione selvaggia.
I tibetani sono uno dei popoli più pacifici della terra. Da decine di anni è in atto nei loro confronti un piccolo olocausto dagli occhi a mandorla, ma l’Occidente volta sempre la testa dall’altra parte. Pecunia WTO non olet. Né Valium, né lo psiconano hanno voluto ricevere il Dalai Lama in visita in Italia lo scorso autunno. E’ stato trattato come un paria, prima gli affari, poi i diritti civili. I nostri grandi statisti: la vergogna internazionale d’Italia.
Gli atleti italiani rinuncino alle Olimpiadi. Facciano outing contro la dittatura, sarà la migliore azione della loro vita. Figli e nipoti ne saranno fieri. Molti italiani gliene daranno merito. Li ospiterò a casa mia durante le Olimpiadi e, come rimborso, li pagherò come personal trainer.
Le Olimpiadi di Pechino non si possono celebrare sui massacri di Lhasa. Per ogni finale olimpica, per ogni premiazione ci sarà il ricordo di un tibetano assassinato e di una Nazione stuprata sotto gli occhi indifferenti del mondo. Ho incontrato il Dalai Lama a Milano. Ho incontrato un uomo buono, aperto, disponibile, ma assolutamente determinato a restituire la libertà al suo popolo.
No alle Olimpiadi di sangue
.
Contro%20Olimpiadi%20in%20Cinatibet

NO ALLE OLIMPIADI DI SANGUE


In Cina esistono i campi di concentramento. Si chiamano “Laogai” e vi sono detenute milioni di persone, in condizioni pessime e costrette ai lavori forzati. La Laogai Research Foundation aiuta a far luce su questo aspetto poco noto del sistema repressivo cinese.

Il direttore Harry Wu ha un passato da forzato
Detenuto nei Laogai per 19 anni ne è oggi il più importante nemico.
C’è un’organizzazione non a scopo di lucro, la Laogai Research Foundation, che dal 1992 raccogliere informazioni sui Laogai cinesi. Il suo direttore, Harry Wu è il più famoso paladino nella lotta contro le violazioni dei diritti umani commesse nei Laogai, dove è stato detenuto per 19 anni semplicemente per aver criticato le politiche del Partito Comunista Cinese. Dal suo rilascio Harry Wu si è dato il compito di rendere noto quanto accade nei Laogai. Diventato cittadino americano, Harry Wu ha raccolto informazioni in Cina con viaggi sotto copertura come diplomatico o imprenditore, documentando innumerevoli campi di concentramento e altri centri detentivi e ha provato l’origine dal Laogai di alcune merci esportate all’estero.

Oggi la la Laogai Research Foundation ha ampliato il suo mandato fino ad occuparsi anche di esecuzioni pubbliche, racolta di organi dai prigionieri giustiziati, persecuzione per motivi religiosi e applicazione coatta della politica ripoduttiva in Cina (la “legge sul figlio unico”).

Un sistema di campi di concentramento voluto da Mao
Ampiamente usato sia per i dissidenti, sia per i criminali comuni, gli scopi dei Laogai sono essenzialmente due: utilizzare i prigionieri come manodopera a basso costo e “riabilitare i criminali” attraverso il duro lavoro e la rieducazione politica obbligatoria.
Il vasto sistema di lavori forzati cinese si chiama “Laogai”, che significa "riforma (rieducazione) attraverso il lavoro". Secondo le definizioni ufficiali, il Laogai è costituito da sei componenti: i Laogai veri e propri, le prigioni, i centri di detenzione amministrativa (cioè senza un processo), i centri di detenzione (dove stanno sia i condannati a sentenze di breve durata, sia i condannati a morte, che in Cina vengono giustiziati assai in fretta), i centri di detenzione lavoro forzato per minorenni, e infine il “Personale addetto al lavoro forzato”, cioè le persone che hanno scontato la loro pena ma che sono state ritenute “non del tutto riabilitate” e che quindi sono costrette a continuare i lavori forzati.

Il numero dei Laogai e dei prigionieri è un segreto di stato. Secondo il Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sul Lavoro Forzato e la Detenzione Arbitraria, pubblicato nel 1997 dopo un viaggio in Cina, ci sono 230.000 persone in 280 campi di rieducazione attraverso il lavoro. La Laogai Research Foundation ha però individuato almeno 1000 campi in Cina e stima il numero dei detenuti fra i 4 e i 6 milioni di persone: dalla creazione del sistema dei Laogai fra i 40 e i 50 milioni di persone vi sono state imprigionate, tanto che in Cina praticamente ogni cittadino è imparentato o conosce qualcuno che è finito nei Laogai.

Il Laogai non è un semplice sistema carcerario; secondo il Ministero per la Pubblica Sicurezza, il loro scopo è trasformare i criminali in persone che "obbediscono alla legge, rispettano le pubbliche virtù, amano il proprio paese, amano il lavoro duro, e possiedono certi standard educativi e abilità produttive per la costruzione del socialismo". In questo modo infatti viene rafforzato il controllo del Partito Comunista sopprimendo qualsiasi segno di dissenso. Fra i prigionieri politici dei Loagai si trovano attivisti pro-democrazia, sindacalisti, religiosi e fedeli di varie fedi e minoranze etniche come i tibetani, gli uiguri e i mongoli.

Secondo Human Rights Watch "I problemi principali con la "rieducazione attraverso il lavoro" sono cinque: la mancanza di qualsiasi vincolo procedurale, l'uso della rieducazione per incarcerare dissitenti religiosi o politici, la mancaza dipossibilità di appello, le condizioni di vita nei campi, e il sistema Jiuye – “Personale addetto al lavoro forzato” che permette all'aturità di trattenere i prigionieri nei campi anche dopo il termine della loro condanna".

I Comitati per la Gestione della Rieducazione attraverso il Lavoro - istituiti a livello locale e diretti dal governo centrale - gestiscono i campi e stabiliscono chi ha "bisogno" di essere rieducato. Chiunque può chiedere l'intervento dei Comitati e chiedere che qualcuno venga mandato al Laogai. In genere è la polizia a determinare la durata del periodo di "rieducazione", che comunque non può superare i tre anni, anche se una volta nel campo il detenuto può essere trattenuto anche più a lungo se viene giudicato non riabilitato. Non vi è diritto d'appello, nessuna udienza, né altri diritti che possano essere vantata dalla vittima di questa procedura d'ufficio.

Una volta nel Laogai, il detenuto viene costretto a “confessare” i suoi crimini, denunciare qualsiasi opinione anti-Partito e sottoporsi al regime di rieducazione e lavoro forzato. I funzionari dei Laogai devono attenersi all’enfasi tradizionale sulla riabilitazione dei prigionieri per trasformarli in “nuove persone socialiste”, raggiungendo allo stesso tempo precisi livelli di produttività e di profitto imposti dall’alto.

Il tassello più importante del sistema di terrore cinese
Nei Laogai vengono commesse la maggior parte delle gravi violazioni dei diritti umani della Cina.
Un numero sconosciuto di persone in dissenso con il governo sono state ridotte al silenzio nei Laogai. Definiti “elementi controrivoluzionari”, questi prigionieri di coscienza vengono oggi arrestati con accuse quali “sovvertimento dell’ordine statale”, “furto di segreti di stato”, “hoolinganismo” o “protesta senza permesso”. Questo ha reso più difficile individuarli da parte delle organizzazioni internazionali che monitorano la situazione dei diritti umani, ma non ha cambiato lo schema di repressione attuato con l’imprigionamento nei Laogai.

Anche se la legge cinese vieta la tortura per estrarre confessioni, questa pratica è ampiamente diffusa nei Laogai, dove è stato documentato l’uso di bastoni in grado di somminsitrare scariche elettriche, percosse con manganelli o pugni, uso di manette e catene alle caviglie in modo da causare intenso dolore, sospensione per le braccia, privazione di cibo o sonno o isolamento per periodi prolungati.

Inoltre in Cina è in vigore un sistema legale per cui chiunque può essere detenuto fino a tre anni in un campo di rieducazione senza che sia necessario un processo. Per ottenere la detenzione amministrativa è sufficiente la direttiva di un qualsiasi funzionario della sicurezza. Con il sistema chiamato “Jiuye” poi, qualsiasi detenuto può essere trattenuto indefinitivamente ai lavori forzati se i funzionari non giudicano che sia stato “pienamente riabilitato”. In questo modo una persona può rimanere detenuto anche molto a lungo in campo di concentramento.

Tutti i prigionieri dei Laogai sono sottoposti al lavoro forzato, le cui condizioni e tipo cambiano da campo a campo. Alla Laogai Research Foundation sono noti molti resoconti di prigioneri costretti a lavorare fino a 16-18 ore al giorno per aggiungere le famigerate “quote”. Se le quote non vengono raggiunte, al prigioniero viene diminuito il cibo. Spesso i prigionieri sono costretti a lavorare in condizioni malsane o pericolose, comprese le miniere di sostanze tossiche. A volte le condizioni di lavoro sono meno pesanti e il trattamento più umano. In ogni caso i prigionieri non vengono mai pagati per il loro lavoro o per qualsiasi profitto derivato dal loro lavoro.

L’atmosfera di terrore e repressione in Cina viene anche rafforzata da campagne periodiche chiamate “Colpire duro”, durante le quali le pene già dure previste per qualsiasi reato vengono ulteriormente inasprite, i processi e le esecuzioni di massa vengono svolti in pubblico per intimidire la popolazione e propagandare il regime. Le procedure legali divengono ancora meno vincolanti e gli abusi sono la norma durante la campagne “Colpire Duro”, quando tutto diventa frenetico e chi è accusato diun crimine viene automaticamente ritenuto colpevole prima ancora del processo. E con questi metodi che il movimento pro-decmorazia è stato ridotti al silenzio attraverso il terrore sistematico.

Pena di morte e commercio di organi
Fin dagli anni '70 ai condannati a morte vengono espiantati gli organi, quasi mai senza il loro permesso. Oggi questa pratica è divenuta importante economicamente.
In base ai documenti raccolti dalla Laogai Research Foundation, la pratica di raccogliere gli organi dei prigionieri giustiziato risale alla fine degli anni ’70. Gli organi così ottenuti vengono utilizzati per i trapianti necessari ai cinesi più agiati o venduti all’estero. Nonostante venga detto che i prigionieri avrebbero dato il loro consento agli espianti, vi sono prove ceh indicano che la stragrande maggioranza dei prigionieri e delle famiglie dei prigionieri non avevano dato alcun tipo di consenso all’espianto prima dell’esecuzione.

In base alle statistiche fornite da organizzazioni come Amnesty International, la Cina da sola giustizia più persone di tutto il resto del mondo messo insieme. Va aggiunto che, poiché statistiche sono calcolate sulle esecuzione di cui è giunta voce all’estero, esse sono sicuramente di gran lunga inferiori ai dati reali. Secondo la legge penale cinese vi sono oltre 60 reati capitali, che vanno dall’omicidio al furto, dall’incendio doloso al traffico di droga. Il dato sulle esecuzioni è ritenuto un segreto di stato.

Il Laogai è parte integrante dell’economia cinese
La manodopera gratuita e coatta permette di abbassare i prezzi dei prodotti e conquistare i mercati mondiali. Ma è possibile boicottare questo sistema? Difficile ... quasi impossibile.
Per sfruttare meglio i lavoratori forzati, le autorità studiano continuamente nuovi mezzi per aumentare al produttività dei lavoratori forzati. Il lavoro forzato è visto soltanto come un mezzo ulteriore per aumentare i profitti.

I milioni di persone rinchiusi nei Laogai sono il più grande numero di persone sottoposte al lavoro forzato oggi nel mondo. L’applicazione deliberata e diffusa di questo metodo ha creato in Cina una nuova forma di economia: l’economia del lavoro forzato. Uno dei suoi teorizzatori l’ha così definità:

“Il compito fondamentale dei Laogai è la puniziione e la rieducazione dei criminali. Per definire queste funzioni conretamente, essi adempiono a questo compito nella seguente maniera: (1) punendo i criminali e tenendoli sotto stretta sorveglianza; (2) rieducando i criminali; (3) organizzando i criminali nel lavoro e nella produzione, così da migliorare il benessere della società. Le nostre unità Laogai sono sia istituzioni della dittatura, sia aziende speciali.” (Manuale per la Riforma Criminale, Partito Comunista, Ministero dells Giustizia, Ufficio Laogai, Editore Popolare dello Shaanxi, 1988)

Il Partito Comunista cinese ritiene le attività economiche che avvengono nei Laogai un segreto di stato. Anche se è stato provato che le aziende dei Laogai sono in passivo, a causa della gestione carente e della scarsa motivazione della forza lavoro coatta, le autorità cinesi cercano costantemente di integrare i Laogai nell’economia nazionale e di smerciare i prodotti dei Laogai nel mercato internazionale per guadagnare denaro corrente.

La Laogai Research Foundation e altri gruppi per i diritti umani hanno talvolta individuato alcune merci prodotte nei Laogai sui mercati internazionali. Anche se molti stati (es. Unione Europea e Stati Uniti d’America) vietano l’importazione di beni prodotti nei Laogai, le autorità cinesi camuffano l’origine di queste merci e rendono impossibile riconoscerle. A volte perfino merci non marchiate con la dicitura “Made in China” è possibile che siano state prodotte dai prigionieri forzati dei Laogai.

Facciamo un esempio: un marchio statunitense si affida a a un’azienda di import-esport cinese per trovare un’industria cinese dove far produrre i propri prodotti, questa a sua volta appalta una porizione del processo industriale a un campo Laogai, dove i prigionieri devono riempire quote loro assegnate, altrimenti vengono loro ridotte le razioni di cibo.

Con un sistema economico intersecato come quello moderno, non c’è modo di evitare questi prodotti finché il governo cinese non accetta di far chiarezza sui Laogai (cosa che ovviamente non è nel suo interesse).

Le merci prodotte nei Laogai possono essere di qualsiasi tipo. “Parti meccaniche, scarpe, fiori artificiali, giocattoli, macchinari diogni tipo, gadgets, prodotti chimici, vestiti, sapone, profumi, minerali estratti da schiavi, cotone seminato e raccolto da schiavi, thé, vino e ogni tipo di cibo, qualsiasi cosa può essere pdotta nei Laogai – dice Harry Wu.

Qualcuno proprone di boicottore tutti i prodotti cinesi, anche se è ormai diventato sempre più difficile. C’è anche una campagna internazionale per questo boicotaggio: “boycottmadeinchina”.

Harry Wu propone di scegliere almeno una serie di prodotti da boicottare, e propone i giocattoli. I giocattoli sono facili da identificare e da isolare. I consumatori che scelgono di attuare questo boicottagio però devono avvertire il proprio governo, per incoraggiarlo a fare di più per impedire lo sfruttamento dei lavoratori forzati in Cina.

La Repubblica del Paglia


E' raro trovare, in Italia, qualcuno capace di rifiutare sicuri privilegi per difendere le proprie idee senza scendere a compromessi. Questo è sicuramente il caso di Giancarlo Pagliarini, detto affettuosamente "Il Paglia". Leghista della prima ora, entra in Senato nel 1992. Diventa Ministro del Bilancio nel primo governo Berlusconi (1994) per poi continuare a lavorare in parlamento fino al 2006, quando lascia Roma per fare il consigliere comunale nella sua Milano.
Lascia la Lega nel 2007 e, a sorpresa per chi conosce le idee in cui crede, si candida alle ultime elezioni con “La Destra” di Storace. Eppure non ha cambiato idee, il Paglia. Ha portato i leader della Destra verso il federalismo e la "questione fiscale", come ci spiegherà in questa esauriente ed interessantissima intervista che ha concesso ad UT. Esibendo tutta la sua disponibilità e lontananza dal concetto della "politica della Casta".
Buona lettura. Anzi, buona lezione!


Caro Pagliarini facciamo un breve punto della situazione: Berlusconi ha vinto le elezioni, la Lega ha fatto il pieno di voti e il prossimo governo avrà tutti i numeri necessari per governare. Cosa dobbiamo aspettarci sui tre fronti a noi più cari, ovvero tasse, federalismo e sicurezza? Ci sarà una vera svolta?


Secondo me la svolta ci sarà solamente se la gente capirà che è necessario cambiare la vecchia costituzione del 1948. Sono realmente convinto che il nostro Paese uscirà dalle difficoltà che lo attanagliano, soltanto se farà un salto di qualità, adottando una nuova Costituzione federale.
Questa riforma è necessaria e urgente perché la verità è che siamo in emergenza. Nel 1992 per poter pagare gli stipendi dei suoi dipendenti e per poter trasferire all’INPS e agli altri enti previdenziali le risorse necessarie per pagare le pensioni, lo Stato ha dovuto prelevare soldi dai conti correnti dei cittadini. Dal 1992 ad oggi non è stata fatta nessuna seria riforma, salvo qualcosa sulle pensioni, e non per senso di responsabilità ma sotto la spinta dell’emergenza e col solito cinico egoismo. Nella circostanza i costi, come sempre, sono stati posti a carico dei giovani e delle generazioni future.
Adesso la situazione è, se possibile, ancora peggiore del 1992. L’indice di povertà delle famiglie italiane continua a peggiorare e siamo sempre meno competitivi.
Eppure le caratteristiche fisiche, intellettuali e culturali delle persone che risiedono nei confini della nostra Repubblica non sono significativamente diverse da quelle dei nostri concittadini europei. Il punto è che il paese è organizzato male e la cultura politica dominante è quella della “irresponsabilità istituzionalizzata”.
I danni generati dal governo Prodi sono sotto gli occhi di tutti. Cambiare Governo ed una parte significativa dei membri del Parlamento era necessario ed urgente. Tuttavia solo questo, ormai, non è più sufficiente: per salvare la Repubblica italiana dal declino è altrettanto necessaria ed urgente una profonda riorganizzazione del paese. La Costituzione del 1948 deve essere aggiornata perché sono cambiati lo scenario e le esigenze. La “Repubblica italiana” deve diventare la “Repubblica Federale italiana.”
Questo non significa “Nord contro Sud”, ma più responsabilità, più efficienza, più concretezza, modernità e competitività del sistema-paese. E più “accountability”, vale a dire più trasparenza anche contabile e cultura della “resa di conto”. Meno chiacchieroni, ideologie, “caste” di politici, burocrati e azzeccagarbugli. E soprattutto meno intermediazione dello Stato e meno liti tra gli “addetti ai lavori” della politica. Il guaio è che per troppi politici è più importante gestire il potere che servire i cittadini.
I principi più significativi che dovranno caratterizzare il nuovo contratto federale sono quelli esposti qui di seguito.

Primo. Ridurre il peso della “intermediazione” statale. Le Regioni e gli enti locali non dovranno aspettare in ginocchio di ricevere trasferimenti ed elemosine dallo Stato. Perché i soldi delle tasse non saranno dello Stato, come dichiarano gli statalisti, sia quelli di sinistra che quelli di destra quando affermano che “le tasse non sono a dimensione regionale ma nazionale”. Dovrà essere vero il contrario. Lo Stato dovrà operare anche come “fornitore di servizi ai cittadini”. I soldi delle tasse saranno del territorio che ne trasferirà una parte allo Stato per comperare i suoi servizi: esercito, presidenza della Repubblica, Parlamento eccetera. I cittadini, a differenza di oggi, saranno più rispettati e diventeranno più consapevoli. Quando pagheranno per “i servizi che ricevono dallo Stato” si chiederanno immediatamente se questi servizi ci sono e se valgono i soldi che stanno pagando. Così capiranno meglio, perché lo toccheranno con mano, se effettivamente stanno “comperando” servizi dallo Stato oppure se con quei soldi stanno invece mantenendo le “caste” dei politici, dei burocrati, di quelli che non vogliono le liberalizzazioni e dei tanti altri mantenuti dalla collettività.

Secondo. Come tutti i fornitori anche lo Stato, salvo pochissime attività, non potrà agire in regime di monopolio. Infatti senza concorrenza i suoi servizi (pensiamo per esempio all’istruzione o al sistema pensionistico) non potranno che continuare ad essere non sempre di buona qualità e insostenibilmente costosi. Con la riforma che propongo alcuni poteri, responsabilità e risorse finanziarie non saranno più, come oggi, di uno dei componenti della Repubblica (lo Stato), ma saranno di altri componenti (le Regioni e i Comuni). La somma algebrica fa zero, si resterà sempre all’interno della Repubblica e la sua unità non verrà toccata. Questo lo dico perchè quelli che “non vogliono cambiare niente” si nascondono dietro la foglia di fico dell’articolo 5, quello della “Repubblica una e indivisibile”. Bene, l’articolo 5 viene rispettato, ma l’organizzazione della Repubblica viene modificata e resa più responsabile e più efficiente, attenuando l’irresponsabile monopolio dello Stato.
Alla “casta” dei detentori del potere questa proposta non va bene. Perché da sempre essi utilizzano lo Stato per gestire il loro potere. Questa proposta modifica la mappa del potere: lo toglie alle “caste” dei politici e dei burocrati e lo trasferisce più vicino ai cittadini.