Anzio, città da radici profonde.

Anzio, città dalle radici profonde.
Nell'antichità Antium venne assorbita nello stato romano.
La città ospitò Cicerone quando, tornato dall'esilio, vi riorganizzò i resti delle sue biblioteche, desiderando metterli in un posto sicuro. I romani più eminenti vi costruirono bellissime ville in riva al mare. Gli imperatori della dinastia Giulio-Claudia la visitavano frequentemente e Mecenate vi possedeva una villa.
Ad Antium nacquero gli imperatori Caligola e Nerone.
Quest'ultimo fondò una colonia di veterani in città e costruì un nuovo porto, le cui rovine sono tuttora esistenti.
Nei primi del novecento, Anzio acquistò le connotazioni
di un elegante centro balneare, meta di soggiorno di alcune note famiglie dell'aristocrazia e dell'alta borghesia romane.

venerdì 25 aprile 2008

Da " Spigoli" http://faber2008.blogspot.com/

25 aprile:
per una memoria accettata e rispettata

“La pacificazione nazionale non può essere prospettata agli altri se non comincia da noi e se non si evidenzia in tutte le nostre parole, in tutte le nostre iniziative responsabili… se ne sono pienamente convinti tutti coloro che sono sempre stati e continuano ad essere vicini al Movimento Sociale Italiano… se ne sono pienamente convinti coloro che si onorano di aver militato nella Rsi, coloro che hanno fatto la dura scelta dei campi di concentramento ‘non collaboratori’, coloro che hanno subito galera ed epurazioni. E’ difficile, è addirittura impossibile che chi ha pagato di persona per una causa morale e nazionale, non sia oggi pienamente disponibile per pagare di persona per una causa altrettanto morale e nazionale.”
Così - nel lontano 1972 - Giorgio Almirante parlava di pacificazione nazionale che definiva “suprema esigenza morale”. Parole ancora attuali, perché nulla è cambiato. Dopo 36 anni - ed a 63 anni dalla fine della guerra civile - una parte d’Italia festeggia ancora in pompa magna la ricorrenza del 25 aprile come anniversario della liberazione, festeggiando un’insurrezione minoritaria che influì ben poco sull’esito finale, una vittoria nazionale che non ci fu, un conflitto che gli stranieri vinsero per conto degli italiani, impegnati in una guerra fratricida. Eppure, il 48,9% degli italiani non sente questa data come festa nazionale ed il 21,5% non sa neanche cosa viene celebrato. (Sondaggio Ferrari Nasi & Grisantelli, 4 aprile 2008)
Un evento che si rivitalizza a ridosso delle sconfitte elettorali della sinistra, come già avvenne nel 1994, e questa volta, con la scomparsa dei comunisti dal Parlamento, la rabbia è tanta. “Bella ciao” e “Fischia il vento”, accompagnate dalle bandiere rosse e dai pugni chiusi verso il cielo, saranno le colonne sonore della rivincita dei 'trombati'. Una celebrazione che “non sarà mai una festa condivisa fino a che non si rimuoverà il suo lato oscuro e criminale, messo in luce da Pansa, circa le stragi e le bestialità commesse a guerra finita”. (Marcello Veneziani – Libero, 24 aprile 2008) Un lato oscuro e criminale sul quale si è aperto un piccolo scorcio di verità, un tragico capitolo di storia patria del quale non si sente parlare senza l’anacronistica retorica dell’antifascismo di ritorno.
Urge ritrovare la memoria, che non potrà essere condivisa, ma almeno accettata e rispettata reciprocamente. Serve favorirla ricordando con rispetto tutti i caduti della guerra civile. Con un’iniziativa che rischia di incontrare l’ostilità di entrambe le parti in causa: attraverso le testimonianze scritte dalle due parti in lotta, rendendo così onore a chi ha lottato ed è caduto in nome delle proprie Idee.

Da “Lettere dei condannati a morte della Repubblica Sociale Italiana”
«…ieri sera dopo che mi è stata comunicata la notizia, mi sono disteso sul letto e ho provato una sensazione che già avevo conosciuto da bambino: ho sentito cioè che il mio spirito si riempiva di forza e si estendeva fino a divenire immenso, come se volesse liberarsi dai vincoli della carne per riconquistare la libertà. Non ho alcun risentimento contro coloro che stanno per uccidermi perché so che non sono che degli strumenti scelti da Dio che ha giudicato sufficiente il ciclo spirituale da me trascorso in questa vita presente. Cara mamma termino la lettera perché il tempo dei condannati a morte è contato fino al secondo. Sono contento della morte che mi è destinata perché è una delle più belle essendo legata a un sacro ideale. Io cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della civiltà, ma so che altri continueranno la lotta per la vittoria che la Giustizia non può assegnare che a noi.»
Franco (18 anni)

Da “Lettere dei condannati a morte della Resistenza”
«Muoio per la mia patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. Iddio mi ha voluto, accetto con rassegnazione il suo volere… Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono. Viva l’Italia. Raggiungo con cristiana rassegnazione mia mamma che santamente mi educò e mi protesse nei vent’anni della mia vita. L’amavo troppo la mia patria: non la tradite e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano, perché non sanno quello che fanno e non pensano che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia… i martiri convalidano la fede in una Idea. Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la sua volontà.»
Giancarlo (20 anni)