Anzio, città da radici profonde.

Anzio, città dalle radici profonde.
Nell'antichità Antium venne assorbita nello stato romano.
La città ospitò Cicerone quando, tornato dall'esilio, vi riorganizzò i resti delle sue biblioteche, desiderando metterli in un posto sicuro. I romani più eminenti vi costruirono bellissime ville in riva al mare. Gli imperatori della dinastia Giulio-Claudia la visitavano frequentemente e Mecenate vi possedeva una villa.
Ad Antium nacquero gli imperatori Caligola e Nerone.
Quest'ultimo fondò una colonia di veterani in città e costruì un nuovo porto, le cui rovine sono tuttora esistenti.
Nei primi del novecento, Anzio acquistò le connotazioni
di un elegante centro balneare, meta di soggiorno di alcune note famiglie dell'aristocrazia e dell'alta borghesia romane.

martedì 20 maggio 2008

NO ALLE OLIMPIADI DI SANGUE

Toni Brandi
IL MONDO NON PUO' IGNORARE L'ESISTENZA DEI LOAGAI




laogai cinesi, condannato a morte Un condannato a morte qualche istante prima dell'esecuzione. Con queste parole l’onorevole Nancy Pelosi, capogruppo del Partito Democratico al Congresso USA, ha aperto la Conferenza Internazionale su «I GULAG E I LAOGAI» che si è svolta a Washington il 4 maggio 2006.
La Conferenza è stata organizzata dalla FONDAZIONE LAOGAI e patrocinata dal Comitato dei Diritti Umani del Congresso USA, dall’Organizzazione «Freedom House» e dal Memoriale Robert F. Kennedy.
L’onorevole Pelosi ha anche ricordato l’approvazione della Risoluzione Wolf, da parte del Congresso USA, con una maggioranza di 413 voti a 1, lo scorso 16 dicembre.
La Risoluzione Wolf denuncia e condanna il sistema repressivo dei LAOGAI.
I LAOGAI sono in Cina i campi di concentramento - almeno mille, oggi - dove sono costretti a lavorare, in condizioni disumane, milioni di uomini, donne e bambini a vantaggio del Partito Comunista Cinese e di numerose multinazionali che investono o producono in Cina.
Nel suo intervento, Harry Wu, presidente della FONDAZIONE LAOGAI, ha ricordato al pubblico presente che, mentre i lager nazisti furono chiusi nel 1945 ed i GULAG sovietici sono in disuso dagli anni ‘90, i LAOGAI cinesi sono tuttora operanti.
Ha spiegato Harry Wu, che «i LAOGAI, creati da Mao Zedong nel 1950, furono organizzati e strutturati sul modello dei GULAG sovietici».
Il campo-prigione di Qincheng fu uno dei primi progettati e venne disegnato, costruito e finanziato con l’aiuto dell’Unione Sovietica.
«Almeno 50 milioni di cinesi hanno sofferto nei LAOGAI e milioni vi soffrono ancora oggi».

Harry Wu, nato a Shangai nel 1937, è stato detenuto in diversi LAOGAI per 19 anni.
Emigrato negli USA nel 1985, ha fondato la Fondazione di ricerca sui LAOGAI (Laogai Research Foundation) nel 1992 ed ha deciso di consacrare la sua vita alla ricerca ed alla diffusione di notizie sui LAOGAI e sulla continua violazione dei diritti umani in Cina.
La vita nei LAOGAI è tuttora orribile.
I pestaggi e le torture sono all’ordine del giorno.
Frequenti le scariche elettriche e la sospensione per le braccia.
Ricordiamo che Manfred Nowak, rappresentante della Commissione contro la tortura delle Nazioni Unite, che ispezionò, nel dicembre del 2005, alcune prigioni in Cina, denuncia il continuo abuso della tortura chiedendo al governo di Pechino anche di eliminare le esecuzioni capitali per crimini non violenti o per ragioni economiche.
Nel suo rapporto, del 10 marzo 2006, denuncia anche le confessioni estorte con la tortura.
Storici, scrittori ed esperti sono intervenuti durante la Conferenza su «I GULAG e i LAOGAI».

Lee Edwards, presidente della Fondazione delle vittime del comunismo, ha annunciato che la costruzione del monumento alle vittime del comunismo, stimate in circa 200 milioni, sarà iniziata questa estate a Washington, «perchè la verità passata e presente sui crimini del comunismo va raccontata e ricordata».
Joel Kotek, autore del libro «Il Secolo dei Campi», ha denunciato i LAOGAI.
La scrittrice e giornalista Anne Applebaum ha informato i presenti sulla struttura e la storia dei GULAG.
Dopo il 1989 gli archivi di Mosca hanno, infatti, fornito molte informazioni sul numero dei campi (476 sistemi di campi), sul numero dei detenuti dei GULAG (circa 29-30 milioni) e sul fatto che numerosi campi nazionalsocialisati, come Buchenwald e Sachsenhausen, furono riaperti dai sovietici ed usati per imprigionare oppositori politici e religiosi di numerose nazionalità.
Molte sono le somiglianze tra i GULAG ed i LAOGAI come la tortura, la denuncia degli amici, il lavoro forzato ed il ricatto del cibo per costringere i detenuti al lavoro, ha osservato lo storico Dieter Heinzig.
Secondo lo stesso oratore, la principale differenza tra i GULAG ed i LAOGAI e’ la «riforma del pensiero» ossia il sistematico lavaggio del cervello del detenuto nei LAOGAI, sistema ideato da Mao Zedong già nel 1937.
La «riforma del pensiero» si attua mediante l’indottrinamento politico quotidiano e mediante l’autocritica.
«Questa autocritica» ha spiegato Dieter Heinzig, «ha luogo davanti ai sorveglianti ed agli altri detenuti ed è finalizzata a riformare la personalità di chi si auto-accusa».
Si tratta di una vera e propria «riprogrammazione del cervello» ha precisato, durante il dibattito, Harry Wu. Innanzitutto si devono elencare ed analizzare le proprie colpe.
Successivamente ci si deve accusare pubblicamente di averle commesse, procedendo alla riforma della propria personalità, per diventare una «nuova persona socialista».


Oltre alla stampa, ricercatori, collaboratori ed amici della Fondazione, al Convegno erano presenti numerosi sopravvissuti dei LAOGAI.
Palden Gyatso, lama tibetano, che ha trascorso 33 anni nei LAOGAI.
Rebya Kadeer, musulmana uighura dello Xinjiang, imprigionata per 6 anni, che ha raccontato le sofferenze e le persecuzioni contro i musulmani uighuri.
Molto commovente è stato l’intervento della religiosa tibetana Ama Adhe, detenuta nei LAOGAI per 27 anni.
I crimini commessi contro il popolo tibetano sono orrendi.
Migliaia di monasteri tibetani sono stati distrutti e di centomila monaci ne rimangono seimila.
«Il regime comunista cadrà!» ha gridato Lu Decheng, uno degli studenti di piazza Tianamen che ha passato quasi dieci anni nei LAOGAI, fino al 1998.
Solo recentemente Lu e’ riuscito, anche grazie al governo tailandese, ad espatriare in Canada.
Xu Wenli invece è stato imprigionato nei campi di lavoro forzato per 16 anni, per avere cercato di organizzare il Partito Democratico Cinese.
Molto determinato ed impressionante l’intervento di Wu Yashan, nato in Manciuria ed ex soldato dell’Armata Popolare Cinese. Ingiustamente accusato di essere «di destra» fu imprigionato nei LAOGAI per quasi 20 anni.


Harry Wu ha infine reso omaggio a tutte quelle persone che ancora oggi rischiano la vita per ricercare informazioni e notizie sui detenuti ed i prodotti dei LAOGAI.
Alla conclusione della conferenza è intervenuta Jeane Kirkpatrick, ex ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, che ha incoraggiato tutti i presenti a continuare la battaglia per la libertà contro il comunismo che miete vittime, incessantemente.
La tragedia dei LAOGAI e’ attuale!
I LAOGAI sono operativi oggi!
Questi campi di lavoro forzato coprono ogni settore merceologico ed incrementano la loro produzione a ritmi esponenziali, soprattutto, nell’esportazione.
Si può ragionevolmente ritenere, quindi, che la tanto decantata «competitività cinese» nasce dal lavoro forzato.
Inoltre, i LAOGAI sono solo un particolare dell’attuale realtà cinese e della «pedagogia del terrore», coperta da «segreto di Stato», che, in Cina, ancora oggi, si pratica.
Decine di migliaia di esecuzioni di massa davanti a folle appositamente riunite.
Migliaia di organi espiantati dai condannati a morte e venduti con alti profitti.
Collagene preso dalla pelle dei morti per produrre cosmetici.
Decine di migliaia di aborti e sterilizzazioni forzate.
Persecuzione sistematica contro i credenti di tutte le religioni e abuso della psichiatria a scopo repressivo politico.
Queste sono le realtà della Cina oscurate e/o rimosse.
Se ne parla poco per non disturbare i commerci internazionali.
Parliamone!


Toni Brandi
coordinatore nazionale Laogai Research Foundation

NO ALLE OLIMPIADI DI SANGUE


Chi fa affari con il regime birmano. Solo gli Usa rispettano l'embargo, la Cina è il maggior fornitore di armi

CARLA RESCHIA

TORINO
Chi fa affari con la Birmania? Praticamente tutti, in un modo o nell'altro. Gli unici a rispettare in modo rigoroso l'embargo contro la giunta militare del Myanmar sono gli Stati Uniti. Peraltro assai criticati per questo in patria da diversi analisti, sia sotto il punto di vista economico, sia sotto il profilo strategico perché la loro assenza lascia campo libero alla Cina. Cina che in Myanmar fa, ormai da decenni affari d'oro. Ma sono in tanti, anche in questi giorni di proteste indignate, ad accorrere alla corte dei generali. Ecco, senza pretese di completezza un piccolo elenco degli affari in corso.
INDIA
Il ministro indiano per il Petrolio Murli Deora ha appena siglato un accordo da 150 milioni di dollari per ricerche di gas naturale in Birmania tra la OVL (ONGC Videsh Limited) e la MOGE (Burma's Myanmar Oil and Gas Enterprise) . Le ingenti riserve di gas naturale che si trovano nella provincia occidentale di Arakan e nella zona marina costiera antistante, stimate in circa 85 miliardi di metri cubi, sono una risorsa più che appetibile per l'India, affamata di energia. Nel suo sforzo di avvicinamento al Paese l'India sta costruendo infrastrutture come porti,linee ferroviarie e strade nel Paese, in competizione con il partner tradizionale del regime birmano, la Cina.
EUROPA
Secondo un rapporto diffuso da un gruppo di ong europee e internazionali, tra cui Rete Disarmo, Saferworld e Amnesty International, l' Advanced Light Helicopter, un elicottero d'attacco prodotto in India e venduto alla Birmania, è realizzato con componenti essenziali di provenienza europea forniti da Belgio, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Svezia. Dal 1988 l'Unione europea ha vietato la vendita di armi alla Birmania per protestare contro la dittatura militare.
A parte questo divieto formale, non c'è di fato alcun impedimento per le aziende europee che vogliano fare affari con la Birmania. In proposito c'è solo una posizione comune,adottata nel 1996 che però non prevede alcuna misura coercitiva. In base ad essa conti aperti dal regime presso le banche europee avrebbero dovuto essere congelati, ma questo non è mai stato fatto. Così, gli investimenti europei in Birmania nell'ultimo decennio sono cresciuti, soprattutto nel settore dell'energia. Secondo stime del FDI (Foreign Direct Investment).
Nel 1999 l'Unione europea figurava nel 43% di tutti gli investimenti effettuati in Birmania e nel 2000 questa percentuale era salita al 71% Nel complesso tra il 1988 e il 2002 in Birmania ci sono stati investimenti europei per almeno 4 miliardi di dollari. Secondo un elenco compilato dalla Global Unions in Birmania operano 104 imprese europee.
FRANCIA
La Total, presente in Birmania dal 1992, gestisce importanti giacimenti di gas naturale nel campo di Yadana nel sud del Paese e ha prodotto nel 2006, 17,4 milioni di metri cubi di gas al giorno destinati ad alimentare le centrali elettriche della Thailandia. Total, che è stata spesso accusata negli ultimi anni di sfruttamento dei lavoratori costretti a «lavori forzati» prossimamente si dovrà difendere dall'accusa di «schiavismo» davanti alla giustizia belga.
CINA
La Cina è il maggior fornitore di armi della Birmania. Il commercio fra i due Paesi è salito nel 2006 a 146 miliardi di dollari, più 20%rispetto al 2005. La Cina ha costruito nel Paese ponti, centrali elettriche, stadi e fabbriche, sfruttando in cambio energia e materie prime. L'export dalla Cina alla Birmania è cresciuto del 50% nei primi sette mesi dell'anno, per un totale di .964 milioni di dollari. Secondo i dati di EarthRights International, nell'ultimo decennio 26 multinazionali cinesi hanno sviluppato grandi progetti in Birmania. Tra questi, la costruzione di un oleodotto e un gasdotto di 2.380km dalla provincia di Arakan allo Yunnan. La Cina ha fornito alla Birmania armamenti per due miliardi di dollari, rendendola così la seconda potenza militare del Sudest asiatico dopo il Vietnam, in termini di capacità, anche se molto più sofisticata. In 2003, la Cina ha dato assistenza economica alla Birmania per 200 milioni di dollari.
Ma la parte più importante del legame fra i due Paesi non risultata dalle statistiche e riguarda l'immigrazione di imprenditori cinesi: Mandalay, la culla della cultura birmana è, al 20% popolata da emigrati provenienti dallo Yunnan, Lascio, il centro più importante del Nord è al 50% cinese.
La Cina sta anche progettando la costruzione di quattro grandi dighe sul fiume Salween, nell'Est brimano. Oltre 100 mila abitanti delle zone tribali, Karen, Shan e Karenni verranno evacuati e la sopravvivenza stessa di un piccolo gruppo etnico, gli Yntalai, circa mille persone, è a rischio. Le dighe forniranno oltre 16 mila megawatt di energia che verranno vendute, fra gli altri, alla Thailandia. Saranno realizzate dalla compagnia statale cinese Sinohydro in collaborazione con l'omologa thailandese EGAT.
RUSSIA
La Russia ha stretto un accordo per la costruzione di un centro di ricerche nucleari in Birmania. Comprenderà un reattore ad acqua leggera da 10 MW e le attrezzature necessarie alla lavorazione e allo stoccaggio delle scorie oltre a un laboratorio medico per la produzione di isotopi. Mosca provvederà all'addestramento di 350 specialisti addetti all'impianto.
NARCOTRAFFICO
La Birmania è il secondo produttore mondiale di oppio dopo l'Afghanistan e fornisce l'8% della materia prima. Produce inoltre una quantità di sostanze stupefacenti destinate al mercato illegale, in particolare anfetamine.

NO ALLE OLIMPIADI DI SANGUE

Cina è il paese con il maggior numero di condannati a morte, anche se mancano statistiche ufficiali in materia. Tra i 65 reati figurano l'omicidio, il traffico di droga, reati economici, politici, d'opinione, la pirateria informatica e l’uccisione di animali protetti.

Vengono spesso organizzate manifestazioni di massa per la lettura della sentenza di morte, e l'esecuzione viene compiuta subito dopo: i condannati vengono mostrati al pubblico con la testa reclinata, le mani legate dietro la schiena e un cartello con il nome e l'indicazione dei crimini commessi legato al collo. Molti trascorrono il periodo che va dalla condanna all'esecuzione ammanettati e coi ferri alle caviglie. Gli organi del condannato vengono quasi sempre espiantati, ma senza chiedere il consenso alla famiglia.

Ecco alcuni reati che possono costare lo condanna a morte.

  • Allevamento illegale di bestiame

  • Omicidio

  • Tentato omicidio

  • Omicidio colposo

  • Uccisione di una tigre

  • Rapina e rapina a mano armata

  • Stupro

  • Ferimento

  • Furto e furto ripetuto

  • Rapimento

  • Traffico di donne o bambini

  • Organizzazione della prostituzione

  • Organizzazione di spettacoli pornografici

  • Pubblicazione di materiale pornografico

  • Atti di teppismo

  • Disturbo dell’ordine pubblico

  • Distruzione o danneggiamento
    della proprietà pubblica o privata

  • Sabotaggio controrivoluzionario

  • Incendio

  • Traffico e spaccio di droga

  • Corruzione

  • Truffa

  • Concussione

  • Frode

  • Usura

  • Contraffazione

  • Rivendita di ricevute Iva

  • Evasione fiscale

  • Furto o fabbricazione illegale di armi

  • Possesso o vendita illegali di armi
    e munizioni

  • Furto o contrabbando di tesori nazionali
    e reliquie culturali

  • Spaccio di denaro falso

  • Ricatto.

QUANDO IL DENARO VALE PIU' DELLA VITA


CHI SA E NON LO DENUNCIA E' COMPLICE
Una brutale repressione della inerme popolazione laica e monastica del Tibet è in corso. E’ una tragedia che si sta consumando nel silenzio e nell’oscurità: non filtrano notizie dirette, è assolutamente impedito l’invio all’estero delle immagini di queste inaudite violazioni dei diritti umani da parte del governo cinese.
La Comunità Internazionale non può rimanere passiva di fronte a questo bagno di sangue e al genocidio culturale di una popolazione la cui unica colpa è quella di chiedere libertà religiosa e il rispetto delle proprie millenarie pacifiche tradizioni.
CHIEDIAMO
>al governo cinese di porre subito fine a qualunque forma di violenza e repressione in Tibet e di ripristinare tutti i canali di comunicazione che sono stati interrotti;
>al Presidente del Consiglio On.le Romano Prodi
( o chi x lui) al Ministro degli Esteri On.le Massimo D’Alema di adoperarsi concretamente affinché il Consiglio di Sicurezza dell’ONU – di cui il nostro paese è membro – chieda immediatamente al Governo di Pechino di autorizzare l’ingresso a Lhasa e in Tibet di una Missione di Osservatori Internazionali che possa indagare, informare e intervenire sulle attuali violazioni dei diritti dell’uomo, tentando di favorire l’apertura di un dialogo per una soluzione pacifica del conflitto;
- a Sua Santità Papa Benedetto XVI di pronunciarsi pubblicamente in difesa dei diritti umani in Tibet.
Firma l’appello per il Tibet sui siti
www.artedellafelicita.it www.modernissimo.it e fallo circolare.
Dal blog di Beppe Grillo :
L’Italia non deve partecipare alle Olimpiadi di Pechino. I Giochi Olimpici sono bagnati del sangue dei tibetani. A Lhasa sono morte almeno 100 persone, alcune bruciate vive. Protestavano nell’anniversario della sanguinosa repressione cinese del 1959.
Il buddismo non è una religione di conquista, non ha causato stragi secolari come le religioni monoteiste. Il buddista può essere ucciso, ma non uccide. Il governo cinese minaccia nuove stragi se i tibetani non cesseranno le manifestazioni entro lunedì. Li minaccia a casa loro, in una nazione occupata. Minaccia un popolo costretto in gran parte all’esilio. Di cui ha distrutto i monasteri. Di cui vorrebbe cancellare l’identità con una immigrazione selvaggia.
I tibetani sono uno dei popoli più pacifici della terra. Da decine di anni è in atto nei loro confronti un piccolo olocausto dagli occhi a mandorla, ma l’Occidente volta sempre la testa dall’altra parte. Pecunia WTO non olet. Né Valium, né lo psiconano hanno voluto ricevere il Dalai Lama in visita in Italia lo scorso autunno. E’ stato trattato come un paria, prima gli affari, poi i diritti civili. I nostri grandi statisti: la vergogna internazionale d’Italia.
Gli atleti italiani rinuncino alle Olimpiadi. Facciano outing contro la dittatura, sarà la migliore azione della loro vita. Figli e nipoti ne saranno fieri. Molti italiani gliene daranno merito. Li ospiterò a casa mia durante le Olimpiadi e, come rimborso, li pagherò come personal trainer.
Le Olimpiadi di Pechino non si possono celebrare sui massacri di Lhasa. Per ogni finale olimpica, per ogni premiazione ci sarà il ricordo di un tibetano assassinato e di una Nazione stuprata sotto gli occhi indifferenti del mondo. Ho incontrato il Dalai Lama a Milano. Ho incontrato un uomo buono, aperto, disponibile, ma assolutamente determinato a restituire la libertà al suo popolo.
No alle Olimpiadi di sangue
.
Contro%20Olimpiadi%20in%20Cinatibet

NO ALLE OLIMPIADI DI SANGUE


In Cina esistono i campi di concentramento. Si chiamano “Laogai” e vi sono detenute milioni di persone, in condizioni pessime e costrette ai lavori forzati. La Laogai Research Foundation aiuta a far luce su questo aspetto poco noto del sistema repressivo cinese.

Il direttore Harry Wu ha un passato da forzato
Detenuto nei Laogai per 19 anni ne è oggi il più importante nemico.
C’è un’organizzazione non a scopo di lucro, la Laogai Research Foundation, che dal 1992 raccogliere informazioni sui Laogai cinesi. Il suo direttore, Harry Wu è il più famoso paladino nella lotta contro le violazioni dei diritti umani commesse nei Laogai, dove è stato detenuto per 19 anni semplicemente per aver criticato le politiche del Partito Comunista Cinese. Dal suo rilascio Harry Wu si è dato il compito di rendere noto quanto accade nei Laogai. Diventato cittadino americano, Harry Wu ha raccolto informazioni in Cina con viaggi sotto copertura come diplomatico o imprenditore, documentando innumerevoli campi di concentramento e altri centri detentivi e ha provato l’origine dal Laogai di alcune merci esportate all’estero.

Oggi la la Laogai Research Foundation ha ampliato il suo mandato fino ad occuparsi anche di esecuzioni pubbliche, racolta di organi dai prigionieri giustiziati, persecuzione per motivi religiosi e applicazione coatta della politica ripoduttiva in Cina (la “legge sul figlio unico”).

Un sistema di campi di concentramento voluto da Mao
Ampiamente usato sia per i dissidenti, sia per i criminali comuni, gli scopi dei Laogai sono essenzialmente due: utilizzare i prigionieri come manodopera a basso costo e “riabilitare i criminali” attraverso il duro lavoro e la rieducazione politica obbligatoria.
Il vasto sistema di lavori forzati cinese si chiama “Laogai”, che significa "riforma (rieducazione) attraverso il lavoro". Secondo le definizioni ufficiali, il Laogai è costituito da sei componenti: i Laogai veri e propri, le prigioni, i centri di detenzione amministrativa (cioè senza un processo), i centri di detenzione (dove stanno sia i condannati a sentenze di breve durata, sia i condannati a morte, che in Cina vengono giustiziati assai in fretta), i centri di detenzione lavoro forzato per minorenni, e infine il “Personale addetto al lavoro forzato”, cioè le persone che hanno scontato la loro pena ma che sono state ritenute “non del tutto riabilitate” e che quindi sono costrette a continuare i lavori forzati.

Il numero dei Laogai e dei prigionieri è un segreto di stato. Secondo il Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sul Lavoro Forzato e la Detenzione Arbitraria, pubblicato nel 1997 dopo un viaggio in Cina, ci sono 230.000 persone in 280 campi di rieducazione attraverso il lavoro. La Laogai Research Foundation ha però individuato almeno 1000 campi in Cina e stima il numero dei detenuti fra i 4 e i 6 milioni di persone: dalla creazione del sistema dei Laogai fra i 40 e i 50 milioni di persone vi sono state imprigionate, tanto che in Cina praticamente ogni cittadino è imparentato o conosce qualcuno che è finito nei Laogai.

Il Laogai non è un semplice sistema carcerario; secondo il Ministero per la Pubblica Sicurezza, il loro scopo è trasformare i criminali in persone che "obbediscono alla legge, rispettano le pubbliche virtù, amano il proprio paese, amano il lavoro duro, e possiedono certi standard educativi e abilità produttive per la costruzione del socialismo". In questo modo infatti viene rafforzato il controllo del Partito Comunista sopprimendo qualsiasi segno di dissenso. Fra i prigionieri politici dei Loagai si trovano attivisti pro-democrazia, sindacalisti, religiosi e fedeli di varie fedi e minoranze etniche come i tibetani, gli uiguri e i mongoli.

Secondo Human Rights Watch "I problemi principali con la "rieducazione attraverso il lavoro" sono cinque: la mancanza di qualsiasi vincolo procedurale, l'uso della rieducazione per incarcerare dissitenti religiosi o politici, la mancaza dipossibilità di appello, le condizioni di vita nei campi, e il sistema Jiuye – “Personale addetto al lavoro forzato” che permette all'aturità di trattenere i prigionieri nei campi anche dopo il termine della loro condanna".

I Comitati per la Gestione della Rieducazione attraverso il Lavoro - istituiti a livello locale e diretti dal governo centrale - gestiscono i campi e stabiliscono chi ha "bisogno" di essere rieducato. Chiunque può chiedere l'intervento dei Comitati e chiedere che qualcuno venga mandato al Laogai. In genere è la polizia a determinare la durata del periodo di "rieducazione", che comunque non può superare i tre anni, anche se una volta nel campo il detenuto può essere trattenuto anche più a lungo se viene giudicato non riabilitato. Non vi è diritto d'appello, nessuna udienza, né altri diritti che possano essere vantata dalla vittima di questa procedura d'ufficio.

Una volta nel Laogai, il detenuto viene costretto a “confessare” i suoi crimini, denunciare qualsiasi opinione anti-Partito e sottoporsi al regime di rieducazione e lavoro forzato. I funzionari dei Laogai devono attenersi all’enfasi tradizionale sulla riabilitazione dei prigionieri per trasformarli in “nuove persone socialiste”, raggiungendo allo stesso tempo precisi livelli di produttività e di profitto imposti dall’alto.

Il tassello più importante del sistema di terrore cinese
Nei Laogai vengono commesse la maggior parte delle gravi violazioni dei diritti umani della Cina.
Un numero sconosciuto di persone in dissenso con il governo sono state ridotte al silenzio nei Laogai. Definiti “elementi controrivoluzionari”, questi prigionieri di coscienza vengono oggi arrestati con accuse quali “sovvertimento dell’ordine statale”, “furto di segreti di stato”, “hoolinganismo” o “protesta senza permesso”. Questo ha reso più difficile individuarli da parte delle organizzazioni internazionali che monitorano la situazione dei diritti umani, ma non ha cambiato lo schema di repressione attuato con l’imprigionamento nei Laogai.

Anche se la legge cinese vieta la tortura per estrarre confessioni, questa pratica è ampiamente diffusa nei Laogai, dove è stato documentato l’uso di bastoni in grado di somminsitrare scariche elettriche, percosse con manganelli o pugni, uso di manette e catene alle caviglie in modo da causare intenso dolore, sospensione per le braccia, privazione di cibo o sonno o isolamento per periodi prolungati.

Inoltre in Cina è in vigore un sistema legale per cui chiunque può essere detenuto fino a tre anni in un campo di rieducazione senza che sia necessario un processo. Per ottenere la detenzione amministrativa è sufficiente la direttiva di un qualsiasi funzionario della sicurezza. Con il sistema chiamato “Jiuye” poi, qualsiasi detenuto può essere trattenuto indefinitivamente ai lavori forzati se i funzionari non giudicano che sia stato “pienamente riabilitato”. In questo modo una persona può rimanere detenuto anche molto a lungo in campo di concentramento.

Tutti i prigionieri dei Laogai sono sottoposti al lavoro forzato, le cui condizioni e tipo cambiano da campo a campo. Alla Laogai Research Foundation sono noti molti resoconti di prigioneri costretti a lavorare fino a 16-18 ore al giorno per aggiungere le famigerate “quote”. Se le quote non vengono raggiunte, al prigioniero viene diminuito il cibo. Spesso i prigionieri sono costretti a lavorare in condizioni malsane o pericolose, comprese le miniere di sostanze tossiche. A volte le condizioni di lavoro sono meno pesanti e il trattamento più umano. In ogni caso i prigionieri non vengono mai pagati per il loro lavoro o per qualsiasi profitto derivato dal loro lavoro.

L’atmosfera di terrore e repressione in Cina viene anche rafforzata da campagne periodiche chiamate “Colpire duro”, durante le quali le pene già dure previste per qualsiasi reato vengono ulteriormente inasprite, i processi e le esecuzioni di massa vengono svolti in pubblico per intimidire la popolazione e propagandare il regime. Le procedure legali divengono ancora meno vincolanti e gli abusi sono la norma durante la campagne “Colpire Duro”, quando tutto diventa frenetico e chi è accusato diun crimine viene automaticamente ritenuto colpevole prima ancora del processo. E con questi metodi che il movimento pro-decmorazia è stato ridotti al silenzio attraverso il terrore sistematico.

Pena di morte e commercio di organi
Fin dagli anni '70 ai condannati a morte vengono espiantati gli organi, quasi mai senza il loro permesso. Oggi questa pratica è divenuta importante economicamente.
In base ai documenti raccolti dalla Laogai Research Foundation, la pratica di raccogliere gli organi dei prigionieri giustiziato risale alla fine degli anni ’70. Gli organi così ottenuti vengono utilizzati per i trapianti necessari ai cinesi più agiati o venduti all’estero. Nonostante venga detto che i prigionieri avrebbero dato il loro consento agli espianti, vi sono prove ceh indicano che la stragrande maggioranza dei prigionieri e delle famiglie dei prigionieri non avevano dato alcun tipo di consenso all’espianto prima dell’esecuzione.

In base alle statistiche fornite da organizzazioni come Amnesty International, la Cina da sola giustizia più persone di tutto il resto del mondo messo insieme. Va aggiunto che, poiché statistiche sono calcolate sulle esecuzione di cui è giunta voce all’estero, esse sono sicuramente di gran lunga inferiori ai dati reali. Secondo la legge penale cinese vi sono oltre 60 reati capitali, che vanno dall’omicidio al furto, dall’incendio doloso al traffico di droga. Il dato sulle esecuzioni è ritenuto un segreto di stato.

Il Laogai è parte integrante dell’economia cinese
La manodopera gratuita e coatta permette di abbassare i prezzi dei prodotti e conquistare i mercati mondiali. Ma è possibile boicottare questo sistema? Difficile ... quasi impossibile.
Per sfruttare meglio i lavoratori forzati, le autorità studiano continuamente nuovi mezzi per aumentare al produttività dei lavoratori forzati. Il lavoro forzato è visto soltanto come un mezzo ulteriore per aumentare i profitti.

I milioni di persone rinchiusi nei Laogai sono il più grande numero di persone sottoposte al lavoro forzato oggi nel mondo. L’applicazione deliberata e diffusa di questo metodo ha creato in Cina una nuova forma di economia: l’economia del lavoro forzato. Uno dei suoi teorizzatori l’ha così definità:

“Il compito fondamentale dei Laogai è la puniziione e la rieducazione dei criminali. Per definire queste funzioni conretamente, essi adempiono a questo compito nella seguente maniera: (1) punendo i criminali e tenendoli sotto stretta sorveglianza; (2) rieducando i criminali; (3) organizzando i criminali nel lavoro e nella produzione, così da migliorare il benessere della società. Le nostre unità Laogai sono sia istituzioni della dittatura, sia aziende speciali.” (Manuale per la Riforma Criminale, Partito Comunista, Ministero dells Giustizia, Ufficio Laogai, Editore Popolare dello Shaanxi, 1988)

Il Partito Comunista cinese ritiene le attività economiche che avvengono nei Laogai un segreto di stato. Anche se è stato provato che le aziende dei Laogai sono in passivo, a causa della gestione carente e della scarsa motivazione della forza lavoro coatta, le autorità cinesi cercano costantemente di integrare i Laogai nell’economia nazionale e di smerciare i prodotti dei Laogai nel mercato internazionale per guadagnare denaro corrente.

La Laogai Research Foundation e altri gruppi per i diritti umani hanno talvolta individuato alcune merci prodotte nei Laogai sui mercati internazionali. Anche se molti stati (es. Unione Europea e Stati Uniti d’America) vietano l’importazione di beni prodotti nei Laogai, le autorità cinesi camuffano l’origine di queste merci e rendono impossibile riconoscerle. A volte perfino merci non marchiate con la dicitura “Made in China” è possibile che siano state prodotte dai prigionieri forzati dei Laogai.

Facciamo un esempio: un marchio statunitense si affida a a un’azienda di import-esport cinese per trovare un’industria cinese dove far produrre i propri prodotti, questa a sua volta appalta una porizione del processo industriale a un campo Laogai, dove i prigionieri devono riempire quote loro assegnate, altrimenti vengono loro ridotte le razioni di cibo.

Con un sistema economico intersecato come quello moderno, non c’è modo di evitare questi prodotti finché il governo cinese non accetta di far chiarezza sui Laogai (cosa che ovviamente non è nel suo interesse).

Le merci prodotte nei Laogai possono essere di qualsiasi tipo. “Parti meccaniche, scarpe, fiori artificiali, giocattoli, macchinari diogni tipo, gadgets, prodotti chimici, vestiti, sapone, profumi, minerali estratti da schiavi, cotone seminato e raccolto da schiavi, thé, vino e ogni tipo di cibo, qualsiasi cosa può essere pdotta nei Laogai – dice Harry Wu.

Qualcuno proprone di boicottore tutti i prodotti cinesi, anche se è ormai diventato sempre più difficile. C’è anche una campagna internazionale per questo boicotaggio: “boycottmadeinchina”.

Harry Wu propone di scegliere almeno una serie di prodotti da boicottare, e propone i giocattoli. I giocattoli sono facili da identificare e da isolare. I consumatori che scelgono di attuare questo boicottagio però devono avvertire il proprio governo, per incoraggiarlo a fare di più per impedire lo sfruttamento dei lavoratori forzati in Cina.

La Repubblica del Paglia


E' raro trovare, in Italia, qualcuno capace di rifiutare sicuri privilegi per difendere le proprie idee senza scendere a compromessi. Questo è sicuramente il caso di Giancarlo Pagliarini, detto affettuosamente "Il Paglia". Leghista della prima ora, entra in Senato nel 1992. Diventa Ministro del Bilancio nel primo governo Berlusconi (1994) per poi continuare a lavorare in parlamento fino al 2006, quando lascia Roma per fare il consigliere comunale nella sua Milano.
Lascia la Lega nel 2007 e, a sorpresa per chi conosce le idee in cui crede, si candida alle ultime elezioni con “La Destra” di Storace. Eppure non ha cambiato idee, il Paglia. Ha portato i leader della Destra verso il federalismo e la "questione fiscale", come ci spiegherà in questa esauriente ed interessantissima intervista che ha concesso ad UT. Esibendo tutta la sua disponibilità e lontananza dal concetto della "politica della Casta".
Buona lettura. Anzi, buona lezione!


Caro Pagliarini facciamo un breve punto della situazione: Berlusconi ha vinto le elezioni, la Lega ha fatto il pieno di voti e il prossimo governo avrà tutti i numeri necessari per governare. Cosa dobbiamo aspettarci sui tre fronti a noi più cari, ovvero tasse, federalismo e sicurezza? Ci sarà una vera svolta?


Secondo me la svolta ci sarà solamente se la gente capirà che è necessario cambiare la vecchia costituzione del 1948. Sono realmente convinto che il nostro Paese uscirà dalle difficoltà che lo attanagliano, soltanto se farà un salto di qualità, adottando una nuova Costituzione federale.
Questa riforma è necessaria e urgente perché la verità è che siamo in emergenza. Nel 1992 per poter pagare gli stipendi dei suoi dipendenti e per poter trasferire all’INPS e agli altri enti previdenziali le risorse necessarie per pagare le pensioni, lo Stato ha dovuto prelevare soldi dai conti correnti dei cittadini. Dal 1992 ad oggi non è stata fatta nessuna seria riforma, salvo qualcosa sulle pensioni, e non per senso di responsabilità ma sotto la spinta dell’emergenza e col solito cinico egoismo. Nella circostanza i costi, come sempre, sono stati posti a carico dei giovani e delle generazioni future.
Adesso la situazione è, se possibile, ancora peggiore del 1992. L’indice di povertà delle famiglie italiane continua a peggiorare e siamo sempre meno competitivi.
Eppure le caratteristiche fisiche, intellettuali e culturali delle persone che risiedono nei confini della nostra Repubblica non sono significativamente diverse da quelle dei nostri concittadini europei. Il punto è che il paese è organizzato male e la cultura politica dominante è quella della “irresponsabilità istituzionalizzata”.
I danni generati dal governo Prodi sono sotto gli occhi di tutti. Cambiare Governo ed una parte significativa dei membri del Parlamento era necessario ed urgente. Tuttavia solo questo, ormai, non è più sufficiente: per salvare la Repubblica italiana dal declino è altrettanto necessaria ed urgente una profonda riorganizzazione del paese. La Costituzione del 1948 deve essere aggiornata perché sono cambiati lo scenario e le esigenze. La “Repubblica italiana” deve diventare la “Repubblica Federale italiana.”
Questo non significa “Nord contro Sud”, ma più responsabilità, più efficienza, più concretezza, modernità e competitività del sistema-paese. E più “accountability”, vale a dire più trasparenza anche contabile e cultura della “resa di conto”. Meno chiacchieroni, ideologie, “caste” di politici, burocrati e azzeccagarbugli. E soprattutto meno intermediazione dello Stato e meno liti tra gli “addetti ai lavori” della politica. Il guaio è che per troppi politici è più importante gestire il potere che servire i cittadini.
I principi più significativi che dovranno caratterizzare il nuovo contratto federale sono quelli esposti qui di seguito.

Primo. Ridurre il peso della “intermediazione” statale. Le Regioni e gli enti locali non dovranno aspettare in ginocchio di ricevere trasferimenti ed elemosine dallo Stato. Perché i soldi delle tasse non saranno dello Stato, come dichiarano gli statalisti, sia quelli di sinistra che quelli di destra quando affermano che “le tasse non sono a dimensione regionale ma nazionale”. Dovrà essere vero il contrario. Lo Stato dovrà operare anche come “fornitore di servizi ai cittadini”. I soldi delle tasse saranno del territorio che ne trasferirà una parte allo Stato per comperare i suoi servizi: esercito, presidenza della Repubblica, Parlamento eccetera. I cittadini, a differenza di oggi, saranno più rispettati e diventeranno più consapevoli. Quando pagheranno per “i servizi che ricevono dallo Stato” si chiederanno immediatamente se questi servizi ci sono e se valgono i soldi che stanno pagando. Così capiranno meglio, perché lo toccheranno con mano, se effettivamente stanno “comperando” servizi dallo Stato oppure se con quei soldi stanno invece mantenendo le “caste” dei politici, dei burocrati, di quelli che non vogliono le liberalizzazioni e dei tanti altri mantenuti dalla collettività.

Secondo. Come tutti i fornitori anche lo Stato, salvo pochissime attività, non potrà agire in regime di monopolio. Infatti senza concorrenza i suoi servizi (pensiamo per esempio all’istruzione o al sistema pensionistico) non potranno che continuare ad essere non sempre di buona qualità e insostenibilmente costosi. Con la riforma che propongo alcuni poteri, responsabilità e risorse finanziarie non saranno più, come oggi, di uno dei componenti della Repubblica (lo Stato), ma saranno di altri componenti (le Regioni e i Comuni). La somma algebrica fa zero, si resterà sempre all’interno della Repubblica e la sua unità non verrà toccata. Questo lo dico perchè quelli che “non vogliono cambiare niente” si nascondono dietro la foglia di fico dell’articolo 5, quello della “Repubblica una e indivisibile”. Bene, l’articolo 5 viene rispettato, ma l’organizzazione della Repubblica viene modificata e resa più responsabile e più efficiente, attenuando l’irresponsabile monopolio dello Stato.
Alla “casta” dei detentori del potere questa proposta non va bene. Perché da sempre essi utilizzano lo Stato per gestire il loro potere. Questa proposta modifica la mappa del potere: lo toglie alle “caste” dei politici e dei burocrati e lo trasferisce più vicino ai cittadini.

ANCORA VIOLENZA....



- (Adnkronos) - 20\05\2008

La Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Firenze ha sottoposto a indagine 23 ragazzi, tra cui alcuni maggiorenni, che per un anno, tra il 2003 e il 2004, avrebbero abusato sessualmente di una ragazzina non ancora 14enne; violenze che sarebbero proseguite anche dopo il compimento dei 14 anni da parte della vittima. Lo scrive oggi l'edizione fiorentina de 'La Repubblica'. In origine la Procura aveva sospettato di violenza sessuale sulla ragazzina ben 80 giovanissimi. La violenza da parte del branco sarebbe stata compiuta in una localita' della provincia di Lucca.